[Contest] Un brindisi all'anno che verrà

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    A Leoke la vita trascorreva piacevolmente: la gente non aveva realmente bisogno di lavorare. Raphil aveva insegnato a tutti i suoi concittadini come usare la magia per ottenere il massimo di cui avessero bisogno col minimo sforzo.
    Se vi fosse capitato di passeggiare per le vie del borgo, difatti, sareste rimasti meravigliati dalla quantità spropositata di creature di ogni genere, tipo e colore che popolavano il paese. E tutte affaccendate, impegnate a correre a destra e a sinistra, al fine di portare a termine un preciso compito che era stato loro ordinato di eseguire. Burattini variopinti che ballavano ai bordi delle vie intrattenendo i passanti; mastodontici buoi che trainavano l'aratro nei campi agricoli mentre i contadini sonnecchiavano beati al riparo sotto le fronde di alberi iridati; simpatici spaventapasseri che dondolavano e ciondolavano sulle cime dei tetti, riparando crepe qua e là nelle tegole e nei comignoli; spassose piovre umanoidi che si affannavano in cucina, comportandosi come vere e proprie governanti, cucinando pasti, riordinando stanze e lavando abiti, tutto nello stesso momento; soffici cagnolini parlanti che tenevano compagnia ai bambini mentre le madri riposavano su comodi letti; e qualsiasi altra cosa, anche la più buffa immaginabile, a Leoke sicuramente l'avreste trovata.


    Per la verità Cervantéz non ricordava con esattezza dove le avesse sentite, probabilmente in un qualche luogo sperduto del continente quand'era ancora bambino. Ed ogni volta, in occorrenza del falò di inizio anno, quelle parole gli ritornavano alla mente con estrema chiarezza. Un detto popolare, forse, una sorta di incoraggiamento morale, senz'altro, un inno alla vita: la fatica affama lo spirito, lo spirito si sazia di vino e danze, ed ogni occasione diventa allora vizio perché nient'altro possediamo al di là degli stenti e del trastullo.
    E se può essere vero ciò che tale massima vuole insegnarci allora può essere altrettanto giusto anche il suo significato contrario. Ché una vita priva di doveri, senza versar lacrime di sudore, senza sofferenze né preoccupazioni, non motiva affatto il festeggiamento, non incoraggia le danze. Ed era forse anche per questo che il mondo, dopo la diffusione della magia, aveva, via via sempre di più, perso interesse nelle tradizioni contadine e paesane che da sempre lo avevano colorito. Perché, per certi versi, era diventato tutto più semplice e più comodo, tanto da non affamare più lo spirito. Con l'avvento della magia non c'era più motivo per esultare o rallegrarsi né per convogliare il favore delle divinità.


    In quella festa, che a Cervantéz faceva tornare in mente il motto che da bambino aveva udito in un qualche luogo sperduto del continente, gli abitanti di Leoke si riunivano attorno ad un falò - meticolosamente preparato dalle creature evocate dai paesani, nella piazza del mercato, intonando canti ed esibendosi in balli per ingraziarsi le divinità per l'avvento di un nuovo anno felice. O quantomeno questo era quello che si diceva esserne il motivo. Perché in realtà quella festa, che poi era anche l'unica celebrata a Leoke, era ormai vissuta più come un pretesto per scambiarsi saluti e auguri durante il periodo più freddo dell'anno.
    Di rado i paesani si lasciavano andare a festeggiamenti scomposti che potessero portare a esiti indimenticabili. Mai si erano verificate risse, men che meno incendi o altre catastrofi del genere, in tutti quegli anni. Sì, ovviamente c'era sempre qualche individuo più vivace che riusciva, in una certa misura, a ravvivare l'anima della festa, combinando qualche stupido pasticcio. Ma, ad ogni modo, mai niente di così tanto memorabile. Era anzichenò piuttosto frequente che le persone, durante lo svolgimento dei festeggiamenti, si isolassero per cianciare tra parenti e conoscenti più stretti o si rintanassero in disparte a pensare agli affari propri o facessero ritorno alle loro abitazioni prima del tempo.


    Ed era proprio in un angolo appartato che Cervantéz sedeva, riflettendo su tutto questo, mentre con sguardo assente ammirava sua moglie e la sua bambina danzare e ridere attorno al fuoco. La luce del falò divampava come un incendio nelle sue comuni iridi scure, scaldando i pensieri funesti che lo artigliavano nel profondo del proprio cuore. Perché, così com'era arrivato il giorno in cui l'adolescente aveva spiegato le ali diventando l'uomo con i capelli brizzolati, era ahimè arrivato il giorno in cui quello stesso uomo aveva aperto gli occhi e aveva compreso di essere parte del mondo, del flusso, del tutto. E come tutto era diventato quindi niente, una banale unità in mezzo a tante altre, e come niente sarebbe morto, seppellito e poi dimenticato, ma non prima di aver perduto le persone che amava.
    Così, mentre elargiva un sorriso rassicurante ad Annabelle, l'idea che da qualche settimana vagava nella sua mente tornava ora a galla. E sebbene si prometteva di non assecondarla, rischiando di impazzire o finire recluso nelle segrete di Raphil, si accorgeva che quella volontà di rigettare tale idea si faceva sempre più debole. E sapeva, in cuor suo, che presto o tardi, proprio come una condanna ineluttabile, sarebbe arrivato il giorno in cui lui non sarebbe riuscito a rifiutarsi. Che avrebbe osato, che avrebbe giocato il tutto per tutto pur di non essere più un niente.
    Mai più, per sempre.


    Cervantéz guardava in alto, gli occhi fissi sulla luna. Sul suo viso un incerto sorriso di speranza. E un brindisi all'anno che verrà.



    Note per il lettore: il post è uno scorcio di background sulla vita di Cervantéz di qualche tempo fa. La scena si svolge in un angolo appartato della piazza del mercato di Leoke (un umile villaggio dove Cervantéz è cresciuto e si è fatto una famiglia) dove l'uomo con i capelli brizzolati riflette e brinda ad un'illusa speranza.
    Raphil è la guida spirituale del villaggio di Leoke.


    Buona lettura!



    Edited by H I G - 16/1/2022, 14:56
     
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