Vita Nova

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    Una supernova galattica caldissima e traboccante dolcezza, il cuore pulsante del multiverso.

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    Vita Nova






    La mia mano scorre tra i vestiti, sui tessuti, sfogliando gli abiti colorati come fossero pagine di un libro. "Quale mi starà meglio?", mi domando tra me e me, senza dire una parola eppure sprizzando eccitazione e gioia da tutti i pori, come testimoniano lo sguardo spiritato ed il sorriso solare e sornione sul mio viso. Con mal controllata frenesia arriccio e mordicchio le labbra, delicate e rosee, morbide, che le piacciono così tanto, come mi dice ogni volta prima di baciarle, e mentre le bacia, e dopo averlo fatto... Oh, Dea, le sue labbra, non le mie! Quelle sì che sono dolcissime e bellissime e...
    Le mie labbra, dicevo, sono sigillate, ma raccontano una storia silenziosa, celata dentro di me. Quest'armatura di carne e ossa nasconde e protegge il nostro segreto, ancora per poco però. La gioia radiosa e indescrivibile straripa più di quanto io possa contenerla, ma tra qualche ora non ci sarà nemmeno più bisogno di crucciarsene.

    Eccolo, ecco il vestito giusto, l'abito perfetto per questa sera. Un dì di festa, la fine di un'era, l'inizio di una nuova. Tutti saranno felici, stasera, ed anche noi finalmente potremo.
    M'infilo la veste rossa, finemente decorata e ricamata a mano, tessuti preziosi e merletti raffinati - ci ho messo così tanto impegno, così tanto amore nel cucirla, è perfetta, non può che essere lei quella giusta per stasera. Quella giusta per il mio amore, per la persona che amo. Per realizzare il nostro sogno.


    «Sabette, vieni, è pronto!»

    «Arrivo, mamma!»


    Sì, è pronto, è tutto pronto. Chiudo il portagioie, infilo la collana in fretta e furia, la rimiro allo specchio assieme agli orecchini ed il trucco, sistemo gli anelli già in ordine, e mi fiondo al piano di sotto, dove la cena mi sta aspettando in tavola. Filetto in salsa alla Rajevy, con contorno di paterre imbroscate e sensaco a listelli - si sente proprio che è festa, cucina sempre questo menù per le occasioni speciali. Ed io sono felice che sia così: il giusto pasto per quello che sta per avvenire, un evento unico e rivoluzionario, per noi due ancor più che per il mondo. Per gli altri cambierà solo la data del calendario e le speranze nelle loro teste, per noi due invece cambierà l'intero scorrere futuro della nostra vita.

    Mangio, assaporo ogni boccone di queste squisite pietanze, veramente contenta di poterle avere in corpo per ciò che sto per affrontare - il giusto cibo sa darti la giusta serenità e la giusta energia, per certe occasioni! Avere il piatto forte di mia madre che mi rafforza dall'interno è come avere la sua carezza con me, a darmi coraggio, a rassicurarmi, a farmi essere più solida e coraggiosa. Non c'è niente di brutto, negativo o spaventoso, a dire il vero, in ciò che sta per avvenire, nell'impresa in cui sto per imbarcarmi... Eppure so di tante altre persone che sono state ben più spaventate di me, quando è toccato a loro. Io sono agitata, sono emozionata, ma sono felice e pienamente certa della mia decisione, non ho rimorsi né rimpianti, così come del non averlo detto a nessuno, nemmeno ai miei genitori. Sarà una sorpresa, una grande, gioiosissima sorpresa, anche per loro. Be', per noi due non sarà una sorpresa effettivamente: lo stiamo pianificando da settimane, mesi probabilmente. Ne abbiamo parlato, a lungo, sviscerando la questione in ogni suo più piccolo dettaglio, ogni cavillo, ogni dubbio che ci ha potuto assalire ed assillare, ogni esitazione e scenario alternativo, ogni frammento di incertezza. Ne abbiamo parlato, ci siamo confortate e rassicurante a vicenda, crescendo insieme in questa scelta e decisione sempre più consce e sempre più forti, donandoci forza l'un l'altra. Qualcosa che non avevo mai sperimentato in vita mia, mai davvero, in nessun altro momento, in nessun altro frangente, in nessun'altra situazione, con nessun'altra persona.
    E non siamo ancora legate come lo saremo invece tra qualche ora.
    Che cosa incredibile. Non potrebbe essere diversamente.

    Finito il pasto, corro di nuovo al piano di sopra, finisco di truccarmi, faccio l'ennesimo controllo e cerco di inspirare ed espirare in maniera controllata, soffiando via tutte le preoccupazioni e le ansie per poi darmi delle pacche di incoraggiamento da sola sulle cosce, mentre sono seduta e composta, rigida, come un manichino.


    «Forza, Sabette: andiamo.»


    Mi dico, cercando di spronarmi. Ho la testa altrove. Gli occhi sgranati, che fissano il vuoto, mentre tra i miei pensieri vedo già immagini delle cose che stanno per avvenire. Ci vedo insieme, mano nella mano, i dettagli dei nostri gioielli ed abiti preziosi, solo piccole parti, non l'immagine intera e completa, brevi flash, come dipinti, non in movimento come se assistessi alle scene mentre si stanno svolgendo. Io, lei, i luoghi, le cerimonie, gli edifici, gli interni, gli esterni, i giardini, il cielo notturno, le stelle, e poi la luce del giorno, dei giorni che verranno...
    Sono ancora seduta, perché ancora una volta mi dico di andare e mi perdo di nuovo a fantasticare, estasiata dalla piega inaspettata ed incredibile che ha preso la mia vita di recente.
    Sono ancora seduta, ma stavolta mi costringo a mettermi in piedi, muovendo il collo e la testa sopra di esso e gli occhi collegati a quest'ultima, inquadrando parti diverse della mia stanza, non più uno sfondo immobile che favorisce il mio perdermi nelle fantasie più sfrenate. No, se mi muovo, la realtà attorno a me e davanti ai miei occhi pure si muove, cambiando ed attirando la mia attenzione, e questo mi aiuta a restare concentrata sul presente, su ciò che mi circonda, di materiale e concreto, che mi attornia. Resto qui, presente a me stessa, in grado di formulare un pensiero, compiere una decisione ed attuarla, facendo un gesto, un movimento, un passo, e poi un altro, e un altro ancora. Uno dopo l'altro, fino a raggiungere la porta, e poi le scale, scenderle, arrivare di nuovo in sala. Guardo mia madre. Sorridiamo entrambe, lei mentre si occupa di conservare gli avanzi della cena, io mentre sto in piedi appoggiata con le mani sopra lo schienale di una sedia, e la fisso.
    Lei pensa ch'io sia contenta per la festa in piazza di stasera. Io sono contenta per ben altro, ben altra festa, e sono qui che mi protendo verso di lei, con questo nodo in gola, scalpitando interiormente: vorrei dirle tutto, raccontarle tutto, condividere con lei, per gioire insieme...ma non lo faccio. Perché vogliamo che sia una sorpresa, una sorpresa per tutti, e così sarà.

    Nei minuti successivi usciamo di casa: io, lei, mio padre, le mie due sorelline più piccole, gli zii ed i nonni che ci hanno raggiunto per mangiare con noi prima di recarci tutti insieme in centro città, dove si terrà la grande festa. Le strade brulicano di persone, tutti accorrono, siamo tutti vestiti elegantissimi, le luminarie addobbano ogni via, i fuochi delle torce e delle lanterne anticipano quelli pirotecnici che anche quest'anno la magia ci donerà, e scommetto saranno ancor più grandiosi e spettacolari del solito, com'è prevedibile che sia data l'eccezionalità della ricorrenza.


    «Hai piani per la serata? Ti incontrerai con la tua amica Arya?»

    «...
    Sì.»


    Oh, quel nome...! Mi mordo l'interno del labbro inferiore, esitando molto prima di risponderle. Se solo sapesse cosa abbiamo in serbo! Se solo glielo potessi dire... In fondo, è mia madre: è naturale ch'io voglia condividere con lei ciò che mi rende felice. E devo trattenermi anche dal correggerle quell'"amica", anche se in fondo siamo ancora questo, agli occhi di tutti, no? Non abbiamo reso pubblico niente, e so -so- che in verità non serve ch'io dica niente, almeno a lei. So che sa, che legge nei miei occhi, che vede ogni mia reazione, anche adesso, quando la nomina, quando è coinvolta lei. So che mia madre può leggere perfettamente nella mia anima come mi fa sentire, già la sola idea di lei. E sorride, infatti, con uno dei suoi tipici sorrisetti complici, da donna che la sa lunga, e ha ragione. Non sa ancora quanto ha ragione, ma ha ragione.
    Sono convinta e sicura che sarà davvero felice per me, per noi, quando lo verrà a sapere, quando lo renderemo pubblico tra non molto. Già m'immagino la sua faccia! Scommetto che piangerà, sì, e non vedrà l'ora di abbracciarmi, e soffrirà per quella manciata di minuti in cui dovrà non interrompere la cerimonia, eheh! Sì, so com'è fatta. E appena avrà l'occasione mi strizzerà e stritolerà tutta, strapazzandomi d'affetto, abbracciandomi senza freni, eccetera, eccetera, eccetera. Tipico suo, gliel'ho visto fare centomila volte, e l'ho vissuto sulla mia pelle stessa, pure.
    La guardo sorridendo, felice ed estasiata di nuovo, serena, pienamente contenta, sazia e satolla di quest'emozione, eppure al contempo ansiosa di ciò che sta per avvenire. Guardo lei, e lei mi guarda di rimando, sorridendo alla stessa maniera, contenta per me. Non sa per cosa, sa solo che sono contenta come poche altre volte m'ha vista, e tanto le basta. Dicono che abbiamo lo stesso sorriso. È vero. E chiunque ci guardasse ora non potrebbe non pensare la stessa cosa. E ci basta un gioco di sguardi, per riconsolidare e confermare quell'intesa che abbiamo sempre avuto, fin da quando ero piccola.


    «...Vado.»

    «Divertiti, bambina mia.»


    Poche, semplici parole. Io più parca, e lei sa perfettamente che questo significa solamente una cosa, ovvero che sono in fermento, in fibrillazione dentro di me, eccitata tanto da non stare più nella pelle, tanto da sentirmi di dover calibrare ogni parola nella strenue lotta per mantenere il controllo, perché se non lo facessi proromperei come un fiume in piena, investendo e travolgendo tutto e tutti; lei, invece, sciolta e naturale, ma perfettamente in grado di lasciarmi il mio spazio, senza riempirlo lei, lasciando i miei vuoti come sono, semplicemente, perché sa che tanto sono già riempiti del suo calore, con la sua sola presenza, la sua sola esistenza. Lei, un'entità rassicurante nella storia della mia vita, che c'è anche senza parlare, una mano amica, una spalla amica, un abbraccio caldo, sempre presenti, anche quando silenziosi, e paradossalmente forse di più ancora in quei momenti, capaci di rispettarmi e di lasciarmi i miei spazi, accogliendomi e facendomi sentire amata ancora di più. Poche, semplici parole, e non c'è bisogno di nient'altro. Sa che sto tramando qualcosa, l'ha capito, ci scommetto: non sa cosa, ma sa che da me si può aspettare solo cose buone, per cui non è mai preoccupata, anche quando pianifico e ordisco qualcosa, quando sono intenta e taciturna, quando ho in ballo un qualsiasi "intrigo", per così dire. Si fida di me, e mi lascia andare, senza farmi sentire come se avessi bisogno del suo permesso. Mi lascia libera, da sempre, dandomi responsabilità, e sa che è fiducia ben risposta.

    Cammino per le strade, assaporando l'atmosfera di festa di cui è intrisa la città. Bande musicali suonano ogni genere di cantilena, concittadini e gente da fuori affolla le vie fermandosi a chiacchierare tra loro, o ai chioschi di bevande e cibarie tipiche, o ancora in quei pochi negozietti che hanno deciso di rimanere aperti per fare affari approfittando dell'afflusso di clienti o anche solo per fornire servizi essenziali alle persone. Cammino e, nonostante l'aria si sia fatta un po' fresca col calare del sole, il mio cuore è caldo e riscalda tutto il resto del corpo, battendo all'impazzata e facendomi strabuzzare gli occhi ad ogni scintilla di luce o di colore che attira la mia attenzione, prima di qua, poi di là, sempre un po' distratta in quest'attesa che -...


    «Lissa...! Sei incantevole...!»



    «...»


    Congelata, immobile, ferma, come una statua di sale. Il mio cuore batte ancora più forte, martella senza ritegno, senza cura per me. Quella...voce. Trasalisco, mentre gli occhi mi si fanno grandi. Lentamente mi giro, mi volto verso l'origine di quella voce, così...bella, così suadente, così meravigliosa, onirica, idilliaca, come quella di una sirena...
    E...


    «...Ti amo.»


    Le dico, in un sussurro, con lo sguardo ancora spiritato eppure calmissimo, posatissimo, ferma a fissarla, contemplarla. Rapita, sopraffatta, sommersa. "Ti amo", le uniche due parole che riesco a spiccicare, in mezzo a tutto quel tumulto di pensieri ed emozioni che mi vorticano in testa. "Ti amo", l'unica fonte di salvezza in tutto il mondo. "Ti amo" che per me significa "Grazie", anche, tra le mille altre cose. Significa "Ti sono talmente grata che provo un profondo amore per te". E come altro potrei risponderle, istintivamente, colta così alla sprovvista dalla sua presenza improvvisa e da quel complimento così dolce? "Ti amo", sì, nient'altro...!
    E lei mi guarda, per un attimo ferma, studiandomi, e poi cede ad una risatina sogghignante e divertita, in quel modo che adoro e che non posso non adorare. Non potrebbe essere altrimenti. Questo suo modo di ridere è uno dei motivi per cui la amo, una delle sue caratteristiche che mi hanno fatta innamorare di lei. O, forse, semplicemente amo questa sua peculiarità perché è sua, e viene quindi prima l'amore per lei e poi di conseguenza l'amore per com'è lei.
    Ma non m'importa. Di tutto ciò, non m'importa: m'importa solo di lei, e del suo ridere, così buffo e motivato dal mio essere buffa ai suoi occhi, lo so. E tramite questo mi vedo dall'esterno, e torno un po' alla realtà, un po' meno trasognata, e mi ci vuole qualche secondo, ma alla fine ce la faccio e prendo a sogghignare e ridacchiare anch'io, con lei, in sintonia, due cuori che battono all'unisono.


    «Sì, ecco, sei stupenda anche tu, voglio dire, cuore mio, eheh...!»


    Le dico, gesticolando un pochettino per l'imbarazzo, seppur una parte di me è perfettamente conscia ed a suo agio, perché stiamo scherzando, usando noi stesse come "scherzo", come battuta, come attrici per la gag comica, semplicemente essendo noi stesse. Ci comportiamo normalmente, e ci facciamo ridere a vicenda, perché ci amiamo, amiamo il nostro essere buffe, ci adoriamo, ed è perfetto così.
    Finiamo di ridere, lei mi ringrazia, passiamo lunghi attimi a fissarci a vicenda con occhioni e sorrisi intensi, apprezzando ogni dettagli del corpo dell'altra, delle scelte estetiche fatte, trovandoci bellissime e dicendocelo esplicitamente per ogni singola cosa -una spilla, un ricamo, un fermaglio, le calzature, il trucco, l'acconciatura-, e...niente, semplicemente così, un flusso d'amore continuo, leggero, gentile, un ruscello primaverile rinfrescante e piacevole, bellissimo in ogni suo aspetto, così naturale e semplice, senza complicanze o pesantezze. Semplicemente noi.

    Ci prendiamo la mano, caldissime entrambe, e di nuovo il mio cuore ha un sussulto a questo contatto, facendomi sorridere più largamente e serenamente ancora, se mai sia possibile.
    Ci guardiamo intorno, le bancarelle, le persone, i negozietti, le luminarie, le nuvole nel cielo scuro che coprono a sprazzi le stelle, lasciandole poi sbucare a sorpresa in questa notte meravigliosa... Camminiamo, mano nella mano, incuranti di ciò che possa pensare la gente: magari sarà stranita, sorpresa, magari intuirà qualcosa, ma non credo che qualcuno possa arrivare a prevedere ciò che abbiamo in serbo per stasera.


    «Sei sicura, amore mio...?»

    «Pensi che io possa avere mai qualche dubbio al riguardo?»


    Le chiedo io, più per ansia e scrupolo che per qualche motivazione vera. Lei, puntualmente, con quel suo sorriso sornione e complice, fuga ogni mia preoccupazione strappandomi invece una risatina imbarazzata, facendomi vergognare per tutti i complimenti che mi fa ogni volta.

    «E poi, proprio ora mi fai questa domanda, Lissa?»

    «Come se non te l'avessi già chiesto cento volte...!»


    E giù a ridere, come due bambine. Due bambine felici, spensierate, in un giorno di festa, perché così è.
    Oggi è il gran giorno, il giorno più importante della mia vita, e della sua. Della nostra. Finora.
    Ci guardiamo profondamente negli occhi, ritrovando la calma, la serenità, in questo sorriso che non ha bisogno delle parole.
    Ci guardiamo negli occhi, ci stringiamo di più le mani, ci incoraggiamo a vicenda con un cenno d'assenso del capo fatto nello stesso momento, e poi c'incamminiamo. Sappiamo entrambe dove andare: nella grande piazza centrale. Come tutte le altre persone.

    Sta arrivando l'ora, si sta avvicinando il momento che tutti aspettano, come ogni anno. Il consiglio degli anziani si muove, stanno prendendo posto, ognuno nella posizione prefissata, com'è da secoli; gli abitanti del borgo si siedono sugli spalti improvvisati, o si stipano in piedi dove c'è ancora posto, tutti in cerchio attorno allo spiazzo centrale. Non è una di quelle città grandi come le Sorelle, ma nemmeno un villaggetto di campagna formato da quattro capanne e un pozzo: la piazza è ragionevolmente gremita e, sebbene vi sia ancora dello spazio, questa è una festività così importante che nessuno vorrebbe perdersela per niente al mondo. Mancare all'ultimo dell'anno significa perdersi l'inizio di quello nuovo, rischiando quindi di rovinarselo per intero! Non è un paesino, ma la vita di comunità qui è molto importante, i rapporti sono molto stretti, forse anche per via delle nostre tradizioni religiose sulle unioni tra persone che si amano. I matrimoni, qui, mi hanno detto, sono diversi che in qualunque altra parte dell'Atlas: hanno provato a spiegarmi in che modo avvengono al di fuori del nostro villaggio, ma in tutta onestà non sono riuscita a capirlo, a concepirlo. Mi sono sembrati profondamente tristi, pieni di solitudine e distanza fra gli sposi. Non sono riuscita a comprendere minimamente come faccia la gente a non desiderare qualcosa come il nostro, e l'unica risposta che mi sono data è che al di fuori della nostra cittadina non si conosce questo nostro modo di sposarsi, appunto: come si dice, "Occhio non vede, cuore non duole". Non puoi rimpiangere ciò che non conosci, che non sai che esiste. E così per tutti gli altri rapporti, dunque: i nostri legami sono davvero imponenti, intensi, e al di fuori del nostro modo di viverli si sperimentano sì, ma in maniera più blanda. Credo, almeno, non riuscendo a ricevere altra spiegazione.
    Sospiro, pensando per un attimo a tutte le persone che non gioiranno mai di una Reintegrazione dell'Anima, e mi appresto ad ascoltare le parole del Borgomastro che, come sempre, come ogni anno, assieme all'Alto Sacerdote danno il via alla cerimonia di Chiusura dell'Anno.


    «Amati concittadini, amate concittadine! Anche quest'anno gli Eterni ci hanno concesso la grazia di arrivare alla fine di questo ciclo, senza che il Divoratore potesse toccarci!»


    Urla di giubilo, la gente è contenta e festante. Trovo sia importante che qualcuno ci ricordi quanto poco scontata sia la nostra esistenza, e quanto fortunati siamo a poterne godere, ogni giorno. Mi piacciono sempre i discorsi del Borgomastro, sono sempre molto intelligenti, sagaci, avveduti, lungimiranti e profondamente sensibili ed assennati. Credo di poter affermare che lui sia uno dei motivi principali per cui la nostra comunità è così florida e prospera, pacifica ed avanzata, dal punto di vista della cultura e della felicità.
    Sorrido, riempita di quelle parole, di questi pensieri, e posso vedere gli altri che mi circondano provare le stesse emozioni.

    Il Borgomastro prosegue dunque a ringraziare i vari membri più attività della società, che hanno contribuito al benessere di tutti quanti in vario modo ed a vario titolo, per poi procedere con le altre parti della cerimonia, fino ad arrivare al momento più importante.


    «...Concittadini, c'è dunque qualcuno tra di voi che desidera oggi inaugurare e festeggiare non solo questo nuovo anno ma un'intera nuova vita?»


    Eccolo, il momento. Sento il cuore palpitarmi in petto, aumentare i suoi battiti, mentre un calore interno mi anima ed arrossa le guance e non solo. Le mie mani stringono quelle di Arya, e non stando più nella pelle mi giro verso di lei e la guardo, e vedo lei fare lo stesso, e provare le mie stesse identiche sensazioni, avere i miei stessi identici sentimenti e reazioni. Fremiamo entrambe, ci guardiamo intorno per scorgere se qualcun altro abbia per caso deciso di approfittare di questa occasione, ma come spesso accade nessuno si fa avanti. Non è d'altronde qualcosa da prendere alla leggera, e capita spesso che per qualche anno nessuno decida di partecipare: è anche un bene, questo, ed è proprio per questa profondità e serietà a cui mi riferivo prima, perché un passo del genere va ponderato molto a lungo, altrimenti porterebbe a conseguenze devastanti, sia nelle singole persone e sia nella comunità. Noi, come individui e come gruppo, invece, stiamo bene anche per questo motivo, per questa lentezza, per questa cura, per questa attenzione e solennità con cui trattiamo questi rituali, questi legami.

    «Be', vedo che anche quest'anno non c'è nessuno che-- Oh! Volete voi? Lissabette, Arya? Che notizia meravigliosa! Prego, accomodatevi!»


    Dice il Borgomastro in nostra direzione, non appena ci alziamo in piedi. Entrambe, agitate, col cuore che palpita, mano nella mano, sorriso nervoso ma lieto sul viso. Inspiriamo, profondamente, e con coraggio facciamo un passo, poi un altro, e via così, avanzando fino al centro della piazza, davanti alle alte cariche della città.
    Trattenendo una risatina emozionata e tesa, scorro con lo sguardo gli astanti, e tra la folla scorgo mia madre e mio padre, inequivocabili: la prima, quasi incontenibile, si porta le mani alla bocca ed ha gli occhi già imperlati dalle lacrime; il secondo, con quel suo sorrisone largo stampato sul viso e gli occhi lucidi, stringe lei facendole forza ed al contempo tenendola al posto, impedendole di correre fin qui e stritolarmi in uno dei suoi abbracci caldi ed emozionati. Sogghigno sommessamente, cercando di trattenermi, ma l'atmosfera è di festa e tutti urlano ed applaudono, anche il Borgomastro ci sorride ridendo e ci prende le mani con le sue, tirandocele in alto e sventolandole come avessimo vinto qualche olimpiade. Arya è bellissima, ancora più di ogni altra giornata, col suo sorriso traboccante di felicità e quell'espressione negli occhi che dichiara al mondo intero tutto ciò che ha dentro.
    Sì, ci siamo decise, finalmente. "Improvviso", dirà qualcuno, ma la verità è che ci abbiamo ponderato sopra per mesi ed anni, di nascosto, in segreto: solo perché gli altri non ci hanno viste, non significa che non l'abbiamo fatto, e che non sappiamo cosa stiamo facendo. Sia il Borgomastro sia l'Alto Sacerdote sanno, sanno che la loro comunità è costituita da gente assennata, e infatti nessuno dei due ci chiede se siamo sicure, nessuno dei due ci interroga inquisitoriamente, o ci insulta dicendo che siamo troppo giovani, o altre scemenze che magari qualcuno tra gli astanti -o, peggio, da fuori- potrebbe anche pensare. No, qui non siamo abituati a fare le cose di fretta e con superficialità, per capriccio o smania. Qui tutti noi pensiamo prima di agire, pensiamo due, tre, quattro o anche cinque volte, e poi altrettante. E ancora dubitiamo. E solo quando siamo certi facciamo. È per questo che le cose funzionano così bene, dalle nostre parti.

    La cerimonia inizia, tutte le frasi di rito dell'Alto Sacerdote ci riempiono le orecchie, non ci pare vero di essere davvero qui, a ricongiungere le nostre anime! Sembra un sogno, eppure è la realtà, e il sogno sta solo per iniziare.
    Incrociamo le nostre braccia, impugniamo la coppa ognuna dal suo lato, col manico decorato nella sua mano, e con questo intreccio spingiamo a turno, una volta io ed una lei, nella direzione adeguata affinché l'altra possa bere, mentre ognuna tiene fermo il suo lato. Solamente un "lavoro di squadra" può far funzionare quest'impresa, permettendo all'altro di bere, e questa è l'allegoria più simbolica e lampante di tutta la cerimonia.
    Un'altra parte, poi, è costituita da ciò che stiamo bevendo, dalla bevanda stessa: un liquido azzurrino acceso, con venature porpora e luccichii difficili da cogliere e da spiegare, un misto di liquori e spezie dal potere onirico e trascendentale, capace di mettere in comunicazione il mondo ultraterreno degli spiriti con la nostra realtà d'esistenza materiale e concreta. Chi beve in contemporanea dalla stessa coppa viene benedetto da un dono incredibile: le due anime coinvolte nel rituale si fondo, si legano, si saldano, o, per meglio dire, si ricongiungono, si riuniscono, si reintegrano, tornano ad essere un intero, un'unica entità, com'era in principio. Questa è la nostra tradizione: due persone, in possesso entrambe di una metà della stessa anima, attingendo a queste antiche conoscenze possono riunire la loro essenza in ciò che una volta era una sola, riparando ciò che era stato diviso. La telepatia che ne scaturisce, la condivisione delle memorie, delle esperienze, passate e future, è qualcosa di completamente inedito e sconosciuto a tutte le altre culture, almeno a noi note: nessun altro popolo possiede questa competenza, questa capacità, questa magia, questa tradizione. Noi sì.
    E adesso, anch'io e Arya siamo un tutt'uno. Di nuovo. Certe di esserlo sempre state.
    Le nostre emozioni si fondono, le nostre menti si toccano, i nostri ricordi si lambiscono, dando vita ad un essere dotato di due corpi e quasi una mente sola, due menti in sintonia così profonda e così vera e pervasiva da pensare all'unisono. E possiamo sentire il suono dei nostri pensieri, adesso, e suonano in sincrono, come due strumenti musicali che entrano in risonanza producendo la stessa nota. E per ogni nota è così. Siamo due, ma siamo una, una sola. È indescrivibile, la sensazione è meravigliosa, il mio cuore batte al contempo nel mio e nel suo petto, e così il suo, e battono all'unisono, ed è come se esistesse un solo cuore che batte per entrambe, donandoci vita ed alimentando i nostri corpi e le nostre menti, due con ogni singolo battito, tutte e due pur essendo una.

    Senza nemmeno rendercene conto, perfino i nostri corpi prendono a essere come uno soltanto: ci muoviamo a specchio, alziamo una mano e ci congiungiamo intrecciando le dita senza nemmeno pensarci, senza coordinarci volontariamente, mentre siamo stregate dallo sguardo dell'altra nei nostri occhi, e dai nostri occhi nello sguardo dell'altra, e l'inverso, e tutto mischiato, e vediamo i nostri stessi occhi attraverso quelli dell'altra, e sentiamo l'amore dell'altra per noi, che ci compenetra e ci avvolge, in una maniera che è sempre stata e sarà sempre inenarrabile a parole. Inspiriamo, estasiate, scioccate, incredule, nutrendoci dell'aria nei polmoni dell'altra, ed infine espiriamo, esauste quasi, eppure perfettamente ricaricate e potenti come non mai.
    Un momento di silenzio, tutti trattengono il fiato, ed è solo quando noi sorridiamo trionfanti alla folla alzando le mani che tutti prorompono in un reboante giubilo, per poi fluire verso di noi stringendoci, complimentandosi e abbracciandosi, e tra le infinite persone anche i nostri genitori, ovviamente, che finalmente hanno il via libera per strapazzarci e coccolarci, più festanti di tutti quanti messi assieme, increduli e completamente sorpresi dalla nostra improvvisata.
    Già, nessuno se lo sarebbe aspettato, nemmeno mia madre che pur aveva intuito qualcosa, ma mai avrebbe pensato ad un accadimento simile.
    Sorrido, sorridiamo, all'unisono di nuovo -qualcosa a cui dovremo abituarci, e al quale saremo molto felici di farlo-, pervase da una gioia che è popolare, dell'intera comunità, perché un matrimonio non è solo del singolo o dei due individui che si sposano, no: trascende lo spazio diventando un fatto collettivo, e trascende il tempo diventando un fatto che si ripercuote e manifesta nel futuro. Per questo il Borgomastro ci ha chiesto se c'era qualcuno disposto a inaugurare e festeggiare non solo quest'anno, ma l'intera vita, insieme. E noi abbiamo deciso di farlo, proprio perché con quest'anno nuovo inizierà per noi anche una vita nuova.

    Si aprono quindi le danze, all'ordine del Borgomastro, e tutti prendiamo a ballare liberando ed esprimendo intensamente e fisicamente ciò che abbiamo dentro, che abbiamo accumulato durante l'intero anno, senza più pensare a niente, senza ragionare, in uno sfogo catartico rodato nel tempo e codificato in consuetudini secolari. Ho ballato ancora con il mio amore, ma nessuna esperienza precedente è mai stata anche solo lontanamente paragonabile a questa: sembra che la vita come la conoscevamo sia finita veramente, e che ora ne inizi una nuova, inedita. No: sembra che finora abbiamo dormito, e che solo ora ci siamo risvegliate, da questo lungo sonno incosciente, aprendo finalmente gli occhi alla vera vita.

    E poi, ecco, infine, in alto nel cielo, fuochi d'artificio ad esplodere illuminando la notte, ora che è mezzanotte, che l'anno è iniziato. Stupendi disegni cangianti e variopinti si espandono sopra le nostre teste, io ed Arya ci stringiamo commosse, assieme ai nostri genitori ed amici tutti a concludere questa serata indimenticabile. Avremo tanto di cui parlare, coi nostri genitori e con gli altri, nei giorni a seguire. Ma avremo ancora di più da vivere, io e lei, d'ora in avanti.
    Un nuovo anno, una nuova vita. Come ogni anno, più di ogni anno, cariche di speranze infinite, di desideri, e di felicità.

     
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