[Contest] savour the morrow

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    - there's always some time to write -

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    savour the morrow.

    Non era propriamente raro che il suo sguardo venisse distratto dal cane. La sua presenza era immancabile nello scenario quotidiano: il sole sorge, la notte scende, la pioggia cade e Wildejagd si palesa. Occhi ardenti nel teschio che, spietati, danzano nella penombra della taverna seguendo fissi ogni movimento del giocattolaio; Oakley odiava incrociare lo sguardo fisso dell'essere, ma talvolta accadeva. Era ineluttabile, come il cadere di una mela una volta che si stacca dal ramo se nulla arrestava il lavoro indefesso della gravità. E niente poteva fermare gli occhi dal vagare per la stanza alla disperata ricerca di qualcosa che potesse spezzare la noia, porre freno al crudele flusso di pensieri che andava rivangare i ricordi sbiaditi e i desideri infranti. Quella volta, però, commise l'errore di soffermarsi su Padfoot.

    Il suono appena appena percepibile della catena al di sopra del brusio della clientela lo fece rabbrividire; ingollò metà boccale tutto d'un fiato, per poi esalare un rantolo al bruciare dell'alcol sulla gola. Oakley non era esattamente abituato a bere pesantemente, ma in quel locale l'acqua pulita costava più della birra distillata da chissà quale maledettissima Fessura. E se c'era una cosa che rincuorava il vecchio, mentre la testa iniziava gradualmente a diventar leggera, era che almeno quella notte il sonno sarebbe riuscito a coglierlo con un po' di anticipo. I due solidi che aveva lasciato davanti a sé erano spariti in un momento imprecisato di quella serata malinconica, nel migliore dei casi finiti nelle tasche del proprietario del Fuoco nelle budella e non di qualche delinquente che aveva scelto di approfittarsi di un pover'uomo.

    La gente faceva avanti e indietro alle sue spalle, talvolta urtandolo e facendolo progressivamente addossare al bancone fino ad esserci praticamente addossato. Si era offerto di levigarlo quella mattina e così aveva guadagnato qualche spicciolo, oltre ad essersi risparmiato qualche possibile scheggia per quella che iniziava a diventare una tortura alla pancia gonfia compressa sul legno. La tentazione di finire il boccale e poggiare il capo sulle braccia per poi infine chiudere gli occhi era stata grande, almeno fino a che non aveva incontrato gli occhi fiammeggianti dello spettro. Cosa hai da guardare, bastardo? Strinse il pugno fingendo di strangolarlo e tentò di proiettare i pensieri più maligni che la mente annebbiata potesse invocare, ma la sua espressione non mutò. Come avrebbe potuto, d'altronde, un teschio esprimere emozioni? Non ne posso più di te. Dei tuoi amici. Di tutto questo maledettissimo mondo. Notò in tempo la piega negativa che stava prendendo l'umore, e provò a contenersi. Scosse il capo - per poi pentirsene, era troppo leggero - e bevve un altro piccolo sorso. Davvero, il gusto era pietoso persino per il suo palato poco esigente, ma almeno la gola ardente riusciva a dargli un breve riparo dalle voci nella sua testa. Quanto bastava per poter riprendere poi a respirare faticosamente, tornare a guardarsi attorno e cercare qualcosa di potenzialmente interessante.

    Dietro il bancone il proprietario della taverna, un uomo sulla quarantina completamente pelato che si era presentato come Samuel, stava pulendo un boccale prima di riempirlo con del sidro. Lo portò ad un uomo che sedeva ad uno sgabello di distanza, aveva probabilmente meno della metà degli anni di Oakley ed era vestito con abiti da viaggio pesanti e logori, uno zaino voluminoso poggiato ai piedi dello sgabello. Rigirava pensoso una pipa finemente intarsiata fra le quattro dita della mano, da essa usciva un filo di fumo grigiastro e un aroma bizzarro che pizzicava appena le narici del giocattolaio. «Lascia perdere.» Quasi senza voltarsi l'uomo gli aveva lanciato un'occhiata di sbieco, un ghignetto furbo sulle labbra, e ondeggiò la mano. «Un ricordino lasciato da una vecchia fiamma. Mai sposarsi, dico bene?» Il vecchio rimase in silenzio per qualche momento, per poi battere gli occhi un paio di volte prima di capire. «Ah. Beh-sì, può...essere un problema, immagino» farfugliò poco convinto, prendendo istintivamente il boccale ma senza sollevarlo. «Chiedo scusa, non volevo fissare. Guardavo la pipa, in realtà. È...fatta molto bene.» Il suo sorriso si rilassò e annuì, osservando pure lui l'oggetto. Lungo i lati si snodavano diversi motivi floreali che poi convergevano sulla base e sulla testa della pipa in un volto serafico dalle orecchie appuntite. «Ah, questa? Cavolo sì se è fatta bene.» disse prima di emettere una piccola nuvoletta di fumo, come per puntualizzare l'orgoglio. «Mi è costata metà dell'ultimo lavoretto, ma ne è valsa la pena. Non ne trovi di queste fuori dal Lesathar, nossignore.» Oakley annuì a sua volta, gli occhi resi sottili dalla fatica dell'alcol in corpo e dalla vista che lo abbandonava, ma era piuttosto certo che quella fattura fosse fuori dall'ordinario. In tutti gli anni passati a imparare meticolosamente come scolpire dettagli per i lavoretti più delicati, non aveva mai visto qualcosa di così squisitamente preciso ed elaborato, oltre che bello. C'era stato un tempo in cui il giocattolaio da Gaerth's Meadow avrebbe pagato profumatamente lo straniero per poter avere quella pipa, anche solo per una sera, per poterne studiare le linee e provare ad emularle; quei tempi però erano passati, e un sorriso stentato emerse per confermare che, sì, aveva decisamente fatto un buon acquisto.

    L'altro cercò di attaccare bottone, si presentò come un avventuriero da Lothringen, ma realizzò presto che sarebbe stato più fruttuoso conversare con un muro che non con un Oakley progressivamente più stanco e laconico. Sorseggiarono i rispettivi spiriti, l'avventuriero offrì per entrambi un altro giro nonostante il rifiuto del giocattolaio e riuscì finalmente a strappargli qualche parola in più sul passato. Sfortunatamente per il poverino, che era solo alla ricerca di qualcuno con cui chiacchierare, erano parole confuse: alcune descrivevano un'alba turchese su un prato rosso, altre un mare di querce da cui pendevano manichini senza volto. Alla fine scelse di lasciarlo tranquillo mentre il capo del vecchio si adagiava sul gomito e la lunga barba macchiata di sidro e birra solleticava l'avambraccio. «Beh, è tempo di andare a riposarsi a dovere. Stammi bene nonno, prenditi un letto comodo.» Oakley biascicò un saluto di risposta, registrando mentalmente i due solidi d'argento che l'uomo aveva provato a infilargli fra le dita ma non trovando le forze di reagire, e sentì il rumore dello sgabello che si muoveva e i passi che si allontanavano. Involontariamente portò lo sguardo un'ultima volta su Padfoot, e l'ultima cosa che notò fu che gli occhi fiammeggianti non erano più puntati su di lui, bensì seguivano qualcosa che usciva dalla porta d'ingresso. Lo accolse un sonno privo di sogni.

    - - -

    «-ra.» Battè ciglio, senza comprendere. «Eh?» Il mondo era ancora sfocato, un turbinare confuso di colori che cercava la forma come se pur'essi si fossero appena destati da un lungo sonno. Prima ancora che l'altro picchiettasse due nocche sul bancone e lo sfondo di bottiglie e barili iniziasse ad avere senso, però, aveva già iniziato a rimettere a posto il mosaico della serata. «È ora, ho detto. Si chiude per la notte.» Un velo cupo si posò sulle palpebre del vecchio. Notte? È ancora...? Un'occhiata stanca alle finestre nere rivelò i suoi timori. I solidi nel palmo della mano erano diventati tiepidi. Non doveva essere passata che una mezz'ora scarsa, massimo, e l'alcol già non gli rallentava più i pensieri. «Certo...certo» bofonchiò intascando il dono dello straniero e raccogliendo il fagotto da terra. Il tempo di alzarsi e avvertire gli spifferi gelidi dalla porta e un brivido di lucidità gli fece desiderare di non essersi mai svegliato. I due si salutarono; l'uomo gli disse che se voleva tornare l'indomani sarebbe stato il benvenuto, ma Oakley in cuor suo sapeva che non vi avrebbe rimesso piede. Non per il servizio, benché lo stomaco dicesse altrimenti, quanto più per il Bisogno. L'impellente, imperioso Bisogno di lasciarsi anche quella cittadina alle spalle e sparire.

    Il tempo che gli occhi doloranti si abituassero all'assenza di candele ad illuminare il suo cammino, e il familiare luccicare verdastro entrò al margine del suo campo visivo. Digrignò i denti quasi senza rendersene conto, la rabbia che montava. «Ancora tu?» Non gli importava nemmeno che qualcuno potesse udirlo, non quella volta. Che pensassero che era ubriaco pure se era tristemente sobrio. O magari che fosse pazzo. Non li avrebbe certo biasimati. «Sono già di pessimo umore, non ho bisogno di te. Sparisci.» L'ultima parola fuoriuscì come un sibilo velenoso, e come di consueto Padfoot non diede alcun cenno di reazione alla minaccia. Fu in quel momento che si rese conto che il muso dello spettro non era puntato vero di lui, ma verso un angolo della strada. Una sensazione di gelo, più profondo rispetto a quello della notte inumidita dalla pioggia leggera, penetrò le ossa del giocattolaio. «No. No, no, non mi importa. Perché me lo dici? Perché dovrebbe importarmi?» Non gli avrebbe risposto. Peggio, quando la bestia iniziò a muoversi lui iniziò a seguirla. Perché? Perché lo sto facendo? Ricordi analoghi sparsi negli ultimi anni, come briciole di pane lungo un sentiero nel bosco, gli passarono nella mente. E meno voleva seguire quel sentiero, marcato dalle orme di quella maledetta bestia, più si trovava avvinto. Sapeva perfettamente perché si stava costringendo a seguire Padfoot attraverso le strade e i vicoli buii di quella piccola cittadina.

    Udì delle risate e si appiattì istintivamente contro un muro, prima di riconoscere la direzione: un viottolo dietro l'angolo, davanti a cui Padfoot si era finalmente fermato - e assieme a lui, anche il cuore di Oakley. Sporse la testa oltre l'angolo, e quando gli occhi si adattarono alla penombra gettata da una lanterna poggiata a terra riconobbe una mezza dozzina di uomini coperti in abiti pesanti, alcuni anche a cappucci. Uno si rigirava quello che sembrava un coltello piuttosto grande, gli altri si lanciavano a vicenda una sacchetta tintinnante, e un altro lanciava un oggetto stranamente familiare in aria prima di riprenderlo al volo. A terra, un'altra sagoma. Esisteva solo una ragione per cui Padfoot decideva di muoversi per conto suo, nelle sporadiche volte in cui questo accadeva. Qualcuno sta per morire. I pugni di Oakley si strinsero fino a che le unghie non affondarono nei palmi, e iniziò a tremare. La sagoma non si muoveva. Attorno ad essa, una piccola pozza più grande lasciate da quelle della pioggia. Perché succede sempre così...? Voleva aiutare. Voleva soltanto aiutare. Perché non ci riusciva mai? Perché era così dannatamente inutile? Avrebbe soltanto dovuto muoversi prima. Più veloce. L'oggetto in controluce produsse una sagoma più netta: la pipa. Una delle mani corse al petto, poi si poggiò sulla gola e le dita si distesero. Faceva male, voleva piangere ma le lacrime non volevano uscire. Come diavolo era possibile che non riusciva nemmeno a piangere la morte di uno straniero che gli aveva mostrato quella rara gentilezza?

    Si rese conto di non riuscire a respirare - le dita si erano serrate e stavano stringendo la gola ora in fiamme. Istintivamente mollò la presa e si lasciò sfuggire un colpo di tosse. Si coprì la bocca, ma era troppo tardi: uno degli sgherri nel vicolo si voltò. «Chi va là!?» Una domanda carica di minaccia libratasi da labbra che erano già pronte ad assaggiare altro sangue. Oakley si accovacciò per terra tremando ora convulsamente, ambo le mani a coprirsi il viso e il bastone poggiato all'incavo del gomito. Lo aveva visto? Forse non lo aveva visto. Ma lo avevano sentito. Doveva andarsene. Doveva alzarsi e andarsene. Ma dove? E come? Le gambe non lo avrebbero certo portato in salvo. Nemmeno un avventuriero se l'era cavata, cosa mai avrebbe fatto un vecchio dal passo incerto? Un suono fastidioso iniziò a riempirgli le orecchie. No. No, ti prego, non ora... Avvertì dei passi dietro l'angolo, stivali che pestavano ciottolato e pozzanghere a passo lento e calcolato. Il suono divenne uno stridore terribilmente familiare, crescendo di volume assieme all'avvicinarsi dei passi. Non ce la faccio più. Voglio che smetta, voglio che sparisca tutto quanto... Allo stridore si accompagnò un suono più basso, come un ringhio sottostante; la pozza davanti a sé rifletteva una luce innaturale, come uno specchio stranamente limpido, ma Oakley non vi vedeva il suo riflesso. Fauci appena schiuse che vibravano con il suono orripilante che emettevano, due orbite incavate, una vuota brulicante di vermi e una con un occhio strabico che sembrava pulsare e pronto ad esplodere. No, no, no... «Vieni fuori e prometto che non ti farò del male» Un tono tanto convincente che gli parve di poter già assaporare il ferro del coltello pronto a scattare per metterlo a tacere per sempre. Oakley strinse a sé l'amuleto di Harper, ma nessuna preghiera gli giunse in aiuto. Dalla pozza emerse la punta di un muso putrefatto. Il vecchio avvertì una morsa stringergli il torace, il corpo ora completamente paralizzato nel gelo della notte. Un piede sporse dal vicolo. Il verso dello Skriker ora era tanto forte da assordare i suoi pensieri. No. No, no, no-no-no- «NO-»

    - - -

    Quando il verso finì, la pioggia era diventata un diluvio. Oakley se ne era a malapena reso conto. Ancora riverso nel vicolo con la schiena poggiata sul muro discontinuo e scomodo, il vecchio teneva gli occhi socchiusi, a malapena conscio dello spettacolo macabro che lo circondava: strisce e macchie sangue non suo e corpi mutilati, nessuna traccia di Padfoot o degli altri, il più assoluto silenzio. Forse qualcuno aveva visto, magari qualcuno no. Poco importava: in quel momento regnava la quiete più totale. Finisce sempre così. Quiete, ma non serenità. Dietro le palpebre, gli occhi del vecchio erano ancora lucidi. Non sono Harper. Non sono nessuno. Non potrò mai salvare nessuno. Posso solo... Il corpo finalmente si alzò, a fatica, puntellandosi con il bastone per sopportare il peso delle vesti ormai fradice; raccolse meccanicamente la pipa lasciata per terra, lasciandola scivolare nella tasca, e iniziò a camminare senza meta per le vie, le orme rosse presto lavate dal tempo inclemente.

    Si fermò solo quando le piante dei piedi implorarono pietà, ed aveva già varcato da tempo i confini della città. La scogliera che dava sul Nathair si fermava ad una dozzina di passi, un piccolo promontorio con un singolo albero che vegliava sullo scrosciare delle acque contro la dura roccia. Non aveva pianificato di trovarsi lì, ma era come se una bussola interna lo portasse sempre lì. Sempre dinanzi a quella superficie liquida, il mondo dell'aldilà di navi che salpano l'orizzonte per poi sparire. Da lontano qualche timida lanterna illuminava le strade del porticciolo che graziava le coste della cittadella, per poi lasciar spazio alle tenebre più grandi, come se vi fosse un abisso fra la città e quella piccola porzione dedicata al mare.

    Il vecchio si stagliò sulla cima della scogliera, cercando l'orizzonte alla ricerca di segni, ma sapeva già che non avrebbe trovato niente. Non si naviga senza la luce delle stelle in una notte infausta scossa dalla pioggia torrenziale. Sono solo. «Non sei solo» Non vedeva nessuno, ma sapeva che erano lì. Non se ne andranno mai. Non aveva bisogno di voltarsi per sapere che Gytras era alle sue spalle. «Non hai visto che ci siamo sempre per te nel momento di bisogno?» Poteva già immaginarsi il suo sorriso grottesco sul suo muso torto dalle zanne enormi. ...posso solo portare altra morte. Dei sassi si liberarono dal terriccio per poi scivolare di sotto, emettendo qualche rumore nell'urtare con la roccia per poi piombare in silenzio nelle acque nere. «Via, via, non essere così duro con te stesso. Non sei tu a portarla» disse la voce spostandosi sulla destra del vecchio. Con la coda dell'occhio scorse il pelo scuro dello spirito ora al suo fianco. «La morte è parte della vita. Accade anche senza di te» Oakley prese la pipa, palpando con l'indice le linee intricate incise. Non gli aveva nemmeno chiesto come si chiamava. Quando sono in pericolo sono altri a pagarne il prezzo. Non voglio questo. Non ho mai chiesto niente di tutto ciò. Il volto legnoso scolpito ricambiava con uno sguardo colmo di rimprovero. Voglio che finisca. Non ne posso più. Cosa volete di più da me? Un latrato disgustosamente simile ad una risata scosse lo spirito. «Che tu smetta di essere così triste e di seguire la tua natura. Sii quello che vuoi essere. Fai come Padfoot: se avverte che la morte incombe, lui la cerca» Perché? Un altro latrato. «Hai mai provato a chiederglielo?» Oakley strinse i pugni e rimise in tasca la pipa. Ci aveva provato, eccome. Aveva provato a parlare con tutti loro, anche quando faceva una fatica estrema a resistere all'impulso di fuggire a gambe levate, e non era mai servito. Non era mai riuscito a strappare alcuna forma di significato da loro. «Sei sicuro?» Pensò di essersi immaginato il tono derisorio, ma ripensandoci sarebbe stato perfettamente nella norma per Gytras. «Potrebbe essere una brutta caduta. Pensa se non fosse fatale» Il vecchio si era sporto sul precipizio, il cuore a mille, il corpo che combatteva contro l'istinto di non lasciarsi andare e la mente che bramava l'idillio del vuoto. Due cavalli che strattonavano in direzioni diverse un uomo, su una biga che rischiava di non andare da nessuna parte.

    Aveva pensato tante volte che sarebbe stata una fine giusta. Avrebbe potuto, nel suo piccolo, sacrificarsi per fermare una porzione di Wildejagd. Sarebbe esistito anche senza lui, ma almeno non ne sarebbe stato un vettore. E aveva vissuto una vita lunga, non piena ma perlomeno popolata da piccole gioie e soddisfazioni. Non vedrò nessuno mai più. Gaerth's è andata. E poi sentì una zaffata salmastra, portato da un soffio di umido vento notturno. Il peso del corpo si spostò in avanti.

    Inizialmente fu un movimento lento, sforzato, ma poi accelerò man mano che l'inclinazione portava la bramata gravità a prendersi cura del resto, e per un breve attimo - solo uno - ne ebbe paura. Ma poi lo accettò. Lo sguardo si riaprì, e a ricambiarlo furono due occhi tuchese sul fondo del mare, sotto gli scogli aguzzi che attendevano i corpi degli incauti o impavidi che si fossero gettati dalla cima del promontorio. Guardami allora, guardami quest'ultima volta. Prima che potesse finire di formulare il pensiero, però, il movimento si arrestò, tanto improvvisamente che i due solidi in argento saltarono dalla tasca per piombare nell'abisso. Quasi li seguì anche la pipa, che però rimase impigliata e penzolante nel vuoto, al margine del campo visivo del vecchio. Nuovamente il terrore si insinuò nella pelle e nei muscoli, la paura di morire di cui aveva tanto provato a liberarsi trovò nuova linfa vitale nel momento di stasi in cui era intrappolato. «Perché...?» Se le vesti fossero state più consunte, o il giocattolaio avesse messo su più chili, si sarebbero strappate e lui sarebbe caduto di sotto. Invece l'enorme spirito di Gurt l'aveva preso al volo mordendogli la veste, trattenendolo prima che potesse andare di sotto. Riusciva a sentire il suo fiato da dietro proveniente da fauci enormi. «Perché non mi lasciate andare? Perché non mi lasciate farlo? Maledetti bastardi...» Il petto iniziò a bruciargli, la gola serrata. Voleva piangere, ma non riusciva ancora a farlo. Lo stomaco iniziò a reclamare cibo, incurante di tutto quanto. Il sudore sulla fronte era gelido dinanzi alle folate di vento. Voglio solo che finisca. Percepì lo sguardo di Gytras. «Non può finire. Wildejagd è eterno, questo tuo piccolo dispetto sarebbe solo questo: un dispetto. Vecchio mio, te l'ho già detto: non vogliamo che tu stia male. Vogliamo che tu sia te stesso» Oakley cercò di divincolarsi, ma senza successo. «Non...non farmi ridere» Uno sbuffo. «Come se ne fossi capace, Oakley» «Intendi dire che vorreste il mio bene? Figuriamoci se ti credo. Non mi interessa vivere un momento di più.» Forse con un po' di forza in più sarebbe riuscito a sfilarsi la giacca. Ma non ce la faceva, e le spalle iniziavano a stridere dal dolore. «Vivo oggi, vivo domani, poi? È un altro giorno, un altro mese, un altro anno cosa cambia?» Il tono era cresciuto sino a diventare un vero e proprio urlo reso roco dal freddo e dalla rabbia. «Non cambierà nulla. NULLA! Perché voi sarete sempre qui, dietro l'angolo, e io non posso liberarmi di voi. Non ci riesco. Non ce la faccio. Vi odio.» Mi odio. «Non voglio che questa notte passi solo perché inizi un altro giorno così. Non ne posso più.» La sagoma di Gytras fluttuò dal promontorio in un'ampia parabola sino a giungergli davanti. Il muso era ora contorto in un'espressione disgustata. «Tutto ciò che sai dire è che vuoi che finisca. Sei un bambino che non riesce ad accettare la realtà o a cercare una soluzione per cambiarla.» Si avvicinò, sino a poterne sentire l'alito fetido e a non poter vedere altro che i suoi occhi. «Sei circondato da spiriti che ti proteggono da chi ti vuole far del male, il mondo esiste per essere la tua preda, eppure il massimo che sai fare è piagnucolare perché qualcun altro si fa male. Dovresti esserne felice; grato, persino. Eppure il massimo che riesci a fare è sprecare questo dono sporcando il mare con il tuo corpo flaccido quasi quanto il tuo animo.» L'occhio rosa e quello azzurro ardevano spietati, anche solo mantenere il contatto visivo gli costava una fatica assurda. Eppure non riusciva a distogliere lo sguardo. «Forse dovresti celebrare il domani, invece di temerlo, mh?...lascia che sia un immortale a dirtelo.»

    Con uno strattone Gurt lo riportò indietro, tanto forte che ricadde di schiena sul prato rado attorno alle radici dell'albero. Rimase senza fiato per diversi minuti, sdraiato, in attesa che qualcosa, qualunque cosa, succedesse. Ma non accadde nulla, se non il montare di una sensazione di nausea. Anche Gytras era andato, lasciandolo completamente solo. E così la notte passò.


    Edited by •pendulum• - 19/12/2021, 20:31
     
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