Il Grande Divoratore

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    Il Grande Divoratore





    Mi sono sempre domandata come possa la gente vivere la sua vita senza mai preoccuparsi del Divoratore. La sua presenza incombe come una spada appesa sopra le nostre teste ogni giorno, eppure tutti sembrano andare avanti con la loro vita senza porsi il minimo problema, senza chiedersi quando tutto finirà. Quando ci divorerà, che senso abbia costruire qualunque cosa, che ne sarà del futuro, e di conseguenza che senso ha il presente, e via discorrendo. Sembra che vivano incuranti del pericolo, incuranti della distruzione che ci attende alle soglie del domani. Sembra che chiunque faccia spallucce e viva come se niente fosse.

    Me lo sono sempre chiesta, fin da piccola, fin dalla prima volta che mi hanno raccontato del Divoratore.
    Una favola della buonanotte per spaventare i bambini e farli comportare bene, come tante altre... Se non fosse che questa è vera. L'ho capito dopo, e la domanda si è fatta ancora più prepotente, e rilevante.
    "Com'è possibile che si possa tramutare un orrore di tale portata, che ha già distrutto chissà quanto del nostro mondo e che continua a vomitare abomini sulla sua superficie, in una storiella infantile e risibile?", questo mi domandavo, e mi domando tuttora. Com'è possibile che un adulto ti guardi negli occhi, ti racconti del Divoratore, e sorrida? Come se nulla fosse. Come se non avesse rilevanza nella vita. Nella tua, nella sua, in quella di tutti.

    Poi, col tempo, ho capito che c'è dell'altro. C'è dell'altro, dietro e in aggiunta.
    Uno schema nel loro comportamento: come col Divoratore, così negano altre cose orribili e terrificanti, credendo forse che "se non vedi non esiste". C'è dell'altro dietro, c'è questo modo di vivere badando solo a certe parti della realtà, ignorando volontariamente le cose scomode, che non piacciono, che fanno male, che fanno soffrire. Raccogliere solo le ciliegie buone, e lasciare a terra quelle marce. "Guardare avanti, guardare oltre", dicono. Secondo me è invece "guardare altrove", distogliere lo sguardo, nascondere la testa sotto la sabbia. Occhio non vede, cuore non duole, dicono, d'altronde.
    La realtà rimane lì, però. Il pericolo, la minaccia, l'orrore: anche se non li guardi, sono lì. E incombono.

    Col tempo, ho iniziato a vedere, vedere cose in aggiunta, che appartengono alla stessa classe di oggetti del Divoratore e che vengono trattate in maniera analoga. Quelle cose che gli altri deridono allo stesso modo del Divoratore e delle mie paure, agitando una mano come a scacciare quei brutti pensieri sbagliati. Come se ne avessero più paura loro di me, ma avessero imparato questo gesto apotropaico, scaramantico, ed il male veramente se ne andasse.
    Eppure quelle cose non spariscono. Sono lì. Rimangono. Checché ne dicano gli altri. Adulti, bambini, ragazzi più grandi, ragazzini miei coetanei.
    Col tempo, a differenza degli altri, ho iniziato a vedere sempre più cose, sempre più nitidamente. C'è una distruzione più sottile in atto.
    C'è sempre stata, e ci sarà per sempre.
    C'è qualcosa di più grande del Divoratore, qualcosa che impregna la stessa essenza dell'universo, dell'esistente, e che si mangerà pure il Divoratore stesso, prima o poi, e tutto il resto pure. Tutte le cose hanno una fine - questo mondo, quell'orrore nei cieli, ogni vita, tutto, dall'inizio alla fine: è questo il "Grande Divoratore", come ho preso a chiamarlo. Un divoratore quotidiano, che la gente non vede, ma io sì.
    È un orrore silenzioso, lento, che tutto ingloba, tutto divora, senza farsi sentire. È il Grande Divoratore, più grande di quello che sta pasteggiando con questo pianeta, e che pasteggerà anche con lui, un giorno. Inesorabilmente.
    Tutto verrà distrutto, l'intero universo, l'intera esistenza, sì. Tutto ciò che è, non sarà più. Tutto ciò che è, può non essere: e non sarà. Le mie visioni sono chiare, ormai. Non le capisco, ma la distruzione è inequivocabile: non riesco a riconoscere, a volte, ciò che viene distrutto, né perché, ma non c'è dubbio che stia venendo annichilito, polverizzato, annientato. Non capisco, non capisco perché, ma sembra proprio che sia questa la destinazione ultima dell'universo. Per qualche legge che non conosco, che non afferro pienamente. Immagino che gli studiosi ed i letterari potrebbero capire meglio, avere perfino un nome per questa "tendenza cosmica", per questo "ritmo delle cose", come talvolta ho sentito chiamare questi fenomeni. Destini ultimi che non possono non avvenire, sotto l'immane ed inesorabile pressione delle leggi della Natura. Natura che ci crea, e ci distrugge. E forse ricrea, a partire dai nostri resti, ma non noi. Qualcos'altro, per un po' di tempo, finché non verrà distrutto anch'esso. Ogni cosa creata è distrutta, per sempre. Questo è il vero orrore del nostro universo, il Grande Divoratore che tutto annienta. Questo è ciò che più mi fa orrore, nella vita: un mostro invisibile e rivoltante, abominevole, immorale, da cui non riesco a distogliere lo sguardo. Mio malgrado. Perché vorrei. Vorrei essere cieca come loro, come gli altri, come chi mi vive accanto. Vorrei condurre una vita ignara dei mostri che infestano tutti i nostri giorni. Eppure io li vedo, per quanto mi sforzi di ignorarli. Li vedo, nei fiori che appassiscono, nelle foglie riarse ed accartocciate d'autunno, nel ruscello strozzato che gorgoglia, nel cavallo stramazzato a terra; negli amici che ci lasciano andandosene via, fisicamente o mentalmente, per qualunque motivo accada di perdere un amico, che sia una malattia, una guerra, un omicidio, un rapimento, o un semplice viaggio senza ritorno, un litigio mai sanato, strade che divergono con crudele ed incurante naturalezza; li vedo nei morti, nei fiocchi di neve che cadono lenti e ricoprono d'un manto silenzioso il mondo, nella canzone cantata con malinconia in ricordo di un amore passato e trapassato, morto per te, scioccamente, vanamente, con beltà triste e disperata; nel dispiacere, nella sofferenza, nel dolore. L'orrore quotidiano, a cui la gente è abituata e che ignora, pur di andare avanti. Un orrore sepolto vivo, che prima o poi ritorna a divorarti la faccia, senza pietà, cieco come chi ha voluto esserlo per primo ignorandolo.
    Vorrei anch'io, poter ignorare. Poter vivere ignara e felice. Beata ignoranza. Perché l'ignoranza è estasi, e la conoscenza è martirio, ed inferno, e supplizio, e condanna. Guardarsi in giro, e vedere il Grande Divoratore in tutto, vedere le sue tracce più piccole, senza possibilità di fraintendimento. L'orrore, titanico e silente, cieco a tutti, e tutti ciechi a lui. E sordi, ai vani moniti che lancio. Agli appelli per difendersi, alle mie premonizioni, alle mie preoccupazioni, ai miei tentativi inutili ed infruttuosi di proteggerli. Il vuoto li prende, puntualmente...

    Io ci provo, ad avvisarli, a parlare, a dir loro tutto, a dirlo a tutti, ma nessuno mi ascolta, nessuno mi crede. Dico loro di stare attenti, cerco di metterli in guardia, di aiutarli, ma tutti ridono. Oppure si arrabbiano, e mi scacciano.
    E poi succede loro qualcosa, qualcosa di terribile, di più o meno grave, ogni volta.
    Un uomo cade da una scala, per disattenzione; un altro si taglia un braccio mentre sta lavorando, per incidente; una bambina il momento prima gioca saltellando gioiosa e spensierata, e quello dopo cade in un fossato spezzandosi l'osso del collo; un vecchio caparbio ed orgoglioso si sloga una caviglia scivolando sul ghiaccio, quando avrebbe potuto sorreggersi al braccio che gli porgo; un fienile prende fuoco, perché qualcuno ha dimenticato una lanterna accesa al suo interno; una mandria muore di un male ignoto e incurabile, qualcosa che sfugge anche a me e verso cui siamo impotenti; qualcuno impazzisce, o viene posseduto, o rapito, o si perde, o...
    Uno alla volta, uno a uno, si perdono, nel vuoto del non essere. Ed io vedo questa sofferenza aumentare, propagarsi a macchia d'olio. Un male che spesso si potrebbe perfettamente arginare, contenere, prevenire, ridurre perfino! Così, semplicemente, con poco sforzo, agendo d'anticipo, e invece... Invece dilaga, e prolifera, e ammorba, e uccide, e distrugge, in questa lotta già impari in partenza...
    ...E la gente inizia a dire che sono io che porto sfortuna, che li maledico. E da qui, be'... È facile intuire cosa succederà, anche senza il mio dono.
    Andare via, costretta a fuggire: anche questo fa perdere tutto. Anche questo è il Grande Divoratore quotidiano, che tutto distrugge con il suo tocco putrido ed orribile.

    C'è chi dice che l'inferno sono le altre persone.
    È vero.
    O, almeno, può esserlo, e lo è fin troppo spesso. E anche questo è orribile: non dovrebbe essere così. Non dovrebbe esserlo affatto. Almeno tra viventi dovremmo darci una mano, anziché predare l'uno sull'altro, in questo gioco al massacro tra poveri - poveri della vita, deboli di fronte alla distruzione, alla morte, alla sofferenza, a tutto ciò che esiste. E proprio per questo, a maggior ragione, dovremmo formare una social catena, come qualche poeta l'ha definita. Ma siamo degni figli del Grande Divoratore anche noi, d'altronde, come tutto ciò che esiste, no? Siamo fratelli del Divoratore, per quanto non lo si voglia ammettere. Siamo portatori del Grande Divoratore, dentro di noi, con le nostre azioni: possiamo distruggere, e ci basta veramente poco. Un piccolo gesto, una piccola voce, una piccola reazione... E tutto il mondo crolla, per qualcuno. Per qualcun altro, o per noi stessi. Non siamo esenti dal divorare noi stessi.
    Un mondo in cui può succedere questo è orribile, è la vera tragedia. Un mondo in cui una minima cosa può distruggere te, o gli altri, o tutto il resto; una minima cosa generata da te, dagli altri, o da tutto il resto. Una guerra senza quartiere, senza pietà, senza ritorno.
    L'orrore è il caos, la distruzione; è il male evitabile ma non evitato, la morte e la sofferenza per stupidità, per testardaggine, per noncuranza, per mancanza di lungimiranza. L'orrore è il fatto universale che niente e nessuno è mai al sicuro, salvato definitivamente. Tutto e tutti sempre in pericolo. L'instabilità, l'incertezza, la precarietà: della vita, dell'esistenza, di tutto ciò che esiste, sia esso vivo o inerte. Tutto è suscettibile di distruzione, un fuoco che arde e divora senza distinzione di sorta. Fiamme che lambiscono devastanti qualsiasi cosa abbia la sfortuna di essere. Un inferno che inesorabilmente accadrà, inevitabilmente, senza possibilità di scampo, per qualunque cosa o persona o essere vivente, in ultima analisi.
    L'orrore è anche essere sensibili e venire feriti da tutto questo, perché potrei essere come gli altri e non curarmene minimamente. E invece no. L'orrore è anche il desiderio di strapparmi le vene e la carne dalle braccia, dalla faccia, gli occhi dalle orbite e le orecchie dalla testa, per non sentire più niente di tutto ciò...
    L'orrore è la solitudine, il perdere chi ti sta attorno, gli amici, i parenti, i conoscenti; il non riuscire a stringere legami d'amicizia con chicchessia, perché non capisce, e perché quando capisce fugge a gambe levate; il non trovare qualcuno che ti ami perché sei maledetta, perché maledici, perché sei una strega, perché porti sfortuna agli altri, o perché sei una persona sfortunata tu per prima, e così via, qualunque altra cosa piccola e crudele dica la gente.
    L'orrore è poi il non provare più orrore nemmeno, l'orrore per tutto questo che dovrebbe suscitarlo. L'orrore è l'apatia. L'orrore è continuare a vivere pur essendo morti, morti dentro. L'orrore è continuare a morire ogni giorno, senza mai morire davvero, definitivamente, trovando finalmente sollievo e pace, silenzio. L'orrore è l'orrore stesso, che esista, e la mancanza di esso, nelle tue percezioni, mero involucro vuoto, nonostante esso esista ancora. L'orrore è la vita, una vita triste, l'unica vita che abbiamo, sprecata, non vissuta, in questo modo. L'orrore sono io, disadatta ad essere viva. L'orrore è essere me, maledetta a vivere una vita di sofferenze, impotente e condannata, senza alcuna speranza. L'orrore è pensare e credere tutto questo, anche.
    L'orrore è anche che l'apatia non duri, non abbastanza, non per sempre.
    L'orrore è la mancanza di cose belle. L'orrore è, quando esse esistono, che esse sono effimere e non saranno più, molto presto.
    L'orrore è questo universo, destinato a marcire lentamente, come un cancro che ti corrode da dentro, senza mai darti il colpo di grazia. L'orrore è il prolungare le sofferenze senza motivo. L'orrore è il tutto, l'eterno divenire nulla, e tutto ciò che alberga in esso. L'orrore è nello sguardo della gente, e nel mio riflesso nello specchio. L'orrore è lo sguardo della gente, ed il mio riflesso nello specchio. L'orrore è. L'orrore è che sia, che esista, è che esista un orrore, e di questa portata specialmente, per di più. Una vita orrida, ed orribile, ed orrifica. In tutto e per tutto. In ogni sua parte, in ogni sua possibilità.
    L'orrore è tutto, ed il nulla oltre il tutto. La morte, il vuoto, l'inesistenza. E la mancanza di senso, a questo tutto, che rotola inesorabilmente verso il baratro, verso le fauci del Grande Divoratore. Un orrore atavico, che la gente non vuole guardare in faccia, così come il Divoratore nostrano. Per paura, per debolezza, per codardia. Ci sono tanti Divoratori al mondo, e la gente non li vede. Perché non vuole.
    E poi, l'orrore è convivere giorno per giorno con questa consapevolezza, dell'esistenza del Grande Divoratore, e della nostra impotenza, dominati da questa legge radicata nell'universo. E poi, l'orrore è la distruzione dei sogni magici da bambino, quelli a cui una volta scoperta la realtà non puoi più credere. E non torneranno, mai, mai più, quei sogni di felicità, quella credenza di poter essere felici, spensierati, di poter vivere una vita gioiosa e luminosa. Perché il Grande Divoratore se l'è mangiata. Si è mangiato i tuoi sogni.
    Eppure, sei ancora vivo, e vai avanti, senza più sognare. Morto, un orribile morto vivente, ma vivo.

    E poi, l'orrore è la paura di impazzire. Quando inizi a viaggiare nel tempo, con la mente, con la tua anima, e a vedere cose che gli altri non vedono, grazie alla tua chiaroveggenza di cose oscure e terrificanti, ma non lo sai. Anche questo è orribile, le prime volte. E continua ad essere orribile mano a mano che ti capita, perché, se da un lato ti ci sei abituata, dall'altro le visioni peggiorano sempre più. Peggiorano l'intensità, la gravità, e la lunghezza, il periodo di tempo in cui sei dissociata dal tuo corpo e dalla realtà. Sei altrove sempre per più tempo, e non sai più chi sei, dove sei, quando sei, e a un certo punto ti chiedi anche perché sei. E incominci ad avere paura di perdere il senno, domandandoti quanto ancora resisterai, dopo che eri finalmente riuscita a superare la paura di essere impazzita semplicemente perché vedevi cose che gli altri non vedevano, e sentivi i loro giudizi stupidi e spietati contro di te. Sciocchi, ignoranti, beceri, crudeli, "È pazza!", sì. Pazza perché potevo prevedere il futuro, quando bastava un po' di logica e buon senso e avrebbero potuto farlo anche loro, tra l'altro. Folle è chi è più intelligente, ai loro occhi, indistintamente da chi è folle veramente. Folle è il diverso, semplicemente, perché osa non essere come loro. Ci sarebbe da ridere, se non fosse orribile e largamente devastante nelle sue conseguenze anche questo.
    Ed hai paura d'impazzire, quando tutt'attorno a te vedi i fuochi della guerra, e senti le grida straziate e lancinanti di chi sta venendo stuprato e macellato sotto i colpi delle armi nemiche. E vedi città in fiamme cadere, e regioni intere messe a ferro e fuoco, devastate, per venire invase, o saccheggiate. Creature mostruose e sconosciute, Divinità Antiche dai poteri incredibili, l'Atlante ancora integro che genera prodigi in base ai desideri di chi lo detiene. Atrocità immani e indescrivibili, a chi ti sta attorno ed è perfettamente sano e stabile, e non capisce: torni qui, ed è tutto pacifico, e normale, e quotidiano, il campo fiorisce e l'arrotino lavora placido canticchiando. E tu hai il volto rigato dalle lacrime e stravolto in un'espressione di orrore. Un incubo ad occhi aperti, un inferno a cielo aperto, ma solo nella tua mente. Eppure tu lo hai visto. Non eri ancora nata, ma lo hai visto, davanti ai tuoi occhi, come uno qualsiasi dei giorni comuni della tua vita.
    È il cinquecentotrentasette ante Divoratore. Un passato remoto, secoli, millenni fa, mezzo millennio prima della venuta dell'orrore nei cieli, ed il Grande Divoratore era già presente. Perché lo è sempre stato, e sempre lo sarà: prima di questo Divoratore, dopo di esso, durante. Il Divoratore non è altro che un pallido riflesso di quello più grande, che un giorno lo divorerà a sua volta, ironicamente. Il Grande Divoratore erode e corrode e rosica, giorno per giorno, minuto per minuto, il nostro mondo, la nostra vita, e tutto l'esistente. Le Elari sono venute qui, mezzo millennio fa, perché il loro mondo è stato divorato. Magari, tra chissà quanti anni o secoli o millenni, anche l'Atlante Nero nostro sarà definitivamente distrutto, il Divoratore arriverà infine a completare la sua opera: manifestazioni del Grande Divoratore, tutte quante. Orrori più piccoli, dita di un orrore cosmico più grande. E tu ti chiedi semplicemente: "Perché?"

    ...È il milleottocentoottantaquattro post Divoratore. È il futuro, ed io sono ormai vecchia. I miei poteri sono aumentati a dismisura, in maniera inconcepibile per la me giovane, ma perfettamente sensata per la me anziana. L'orrore è eterno, il tempo è simultaneo: passato, presente e futuro sono facce dello stesso oggetto. Ed io le vedo tutte e tre, contemporaneamente. Ed oltre. Oltre, però, non c'è nulla: un enorme vuoto, nero, che inghiotte tutto. Il Grande Divoratore, immagino, nella sua vera forma, completa.
    Io sono sopravvissuta, e tutti gli altri no. I miei amici, i miei genitori, le persone che ho amato: tutti morti, sono tutti morti. O sono andati, via, lontano. Persi per sempre. Io sono sola, sono rimasta sola. C'è gente intorno a me, sì, qualcuno con cui chiacchierare superficialmente, ogni tanto, con quella condiscendenza che si ha coi vecchi, pazzi e ritardati per definizione, per stereotipo. Qualcuno è perfino gentile, con me. Ma...sono sola.
    E non so quando morirò.

    E allora, mi chiedo: tutto il mio studiare, esser diventata un'intellettuale e sapere della tendenza cosmica, a cosa mi sarà servito? Essere saggi a cosa serve, di fronte al nulla eterno, al Grande Divoratore? Specie quando sei ad un passo da essi? Sola, in balia del destino, come prima, come sempre, come tutti. Più sono invecchiata, più ho sentito il mio potere crescere, ed ho capito quanto è grande l'universo e quanto impotente sono io al suo cospetto. Più ho potuto, meno ho potuto. Ed ora non posso più nulla, se non assistere, muta spettatrice di fronte all'inesorabile e catastrofica avanzata del Grande Divoratore, nella vita mia ed altrui. Come è stato sempre, d'altronde: ho osservato, qualche volta ho parlato, sempre meno, conscia delle conseguenze di ogni mia parola, e di ogni mia visione. Una vita trascorsa a stare ferma, in bocca al Grande Divoratore, perché più mi agitavo più mi masticava. E allora ho imparato a essere impotente, orribilmente impotente, e questo mi ha corrosa di rabbia e disperazione ad ogni respiro della mia esistenza. Un'angoscia profonda, che mi ha innervato il corpo sempre di più, paralizzandomi e distruggendomi dall'interno progressivamente. L'orrore è entrato in me, strisciando silente e venefico.

    Quando ritorno al presente, quando non ho ancora studiato, non riesco bene a capire cosa ho visto, cosa pensavo, cosa penserò. Non mi è rimasto bene il ricordo della conoscenza futura, ora incomprensibile: solo la sensazione, l'emozione. Una sorta di...accettazione, di rassegnazione, un senso di abitudine. Venata di orrore, però. Quello non se ne andrà mai, a quanto pare. Una condanna eterna.
    E allora mi domando: perché non porre fine ora a tutti questi affanni, ai dardi dell'oltraggiosa fortuna, anziché soffrire nobilmente nella mente sopportandoli? Essere, o non essere? Gettarmi tra le fauci del Divoratore, immediatamente, per sfuggire al Divoratore che mi drena lentamente l'anima, della voglia di vivere, e della gioia di vivere? Un controsenso, sciocco forse, eppure...
    Eppure mi son vista, vecchia ed ancora in piedi: stabile, in apparenza, in grado di sopportare, capace di aver sopportato. Ed in fin dei conti, il suicidio è un asso nella manica che sarà sempre disponibile, mi dico. "Vediamo cosa ci riserva il futuro", aggiungo. Se sono sopravvissuta fino a quell'età, ci sarà stato un motivo, in fondo, no? ...O forse è stato proprio questo tipo di ragionamento a tenermi in vita, delusione dopo delusione, nella speranza che un giorno accada qualcosa di valevole. Chissà...

    È il presente, di nuovo. Io ho di nuovo vent'anni. Di nuovo, il Grande Divoratore fa sentire la sua presenza in tutta la sua vastità, ma solo a me. E la gente mi dichiara pazza per questo. Il Grande Divoratore s'inghiotte in un sol colpo tutto ciò che è la mia vita adesso - gli affetti, i luoghi a me cari, le occupazioni, tutto quanto - ed io sono costretta a scappare.
    Ancora una volta, questo orrore senza fine non mi dà tregua, e temo per la mia vita. Corro, corro, a perdifiato, inciampando e cadendo rovinosamente a terra. La gente mi è sopra, mi è addosso. Sento il cuore martellarmi in petto, vuole scoppiare, il fiato spezzato che mi soffoca, le lacrime che mi scivolano dalle palpebre, e le loro facce... Aggressive, bestiali, selvagge. I forconi, le torce... I loro occhi di fuoco che si mischiano alle scintille dei tizzoni ardenti...
    Mi lincerebbero, presa a calci e pugni e bastonate come già stanno facendo, se solo non intervenisse il capo del villaggio. Cosa mi faranno? In che modo riuscirò a sopravvivere?
    Perché, per arrivare a quella veneranda età nella mia visione, devo cavarmela in qualche modo.
    ...No?
    ...
    Oppure...
    Oppure sono veramente pazza, e tutte le mie visioni sono...?

    L'orrore del Grande Divoratore, tutto ciò che ho visto succedere... Il male che imperversa nell'universo, affliggendo il mondo, la quotidianità di ogni essere vivente, in ogni luogo e tempo... La gente che muore, i pianeti e le stelle inghiottiti nel buio pesto della notte più nera pece immaginabile... Il pericolo in agguato ad ogni angolo, la sofferenza che dilaga imperterrita... I morti, le ferite, le perdite, le sofferenze, il dolore, l'agonia, l'angoscia, la disperazione, le urla, il digrignare di denti, lo strapparsi i capelli, il sangue che zampilla dalle gole sgozzate, lo stillicidio delle vite spezzate e distrutte...
    La mia vita, sempre in bilico, tra passato e presente e futuro, tra la vita e la morte...
    Il dubbio che s'insinua nella mia testa, distruggendo tutte le mie certezze. E le mie visioni. Ed i miei sogni...

    No.
    Non può essere falso.
    Tutto questo non può essere falso, no...

    ...
    E non lo è, infatti.
    Ed io mi salvo, fuggendo sola nella notte, verso un domani ignoto.

    "Salva".

    O così si dice.
     
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