Duinn mo ghuth

Jackie's Tales Contest

« Older   Newer »
 
  Share  
.
  1.      
     
    .
    Avatar


    Group
    Utente
    Posts
    2,192
    Reputation
    +246

    Status
    Offline

    png


    Duinn mo ghuth
    - Jackie's Tales Contest -


    Con l'autunno arrivavano le giornate brevi e le foglie rosse nei boschi, una caduta continua di tanti ventagli scarlatti che ricoprivano le strade e le campagne, ombreggiando le schiene e le braccia di coloro che erano impegnati a raccogliere gli ultimi grappoli d'uva e terminare così quella lunga vendemmia. Era stato un anno buono e la cittadina di Colleclino si preparava a pregustare già i frutti del duro lavoro estivo, della rendita del vino che sarebbe stato spedito un po' ovunque in Atlas. Per i bambini, invece, non c'era nulla di diverso quell'anno, se non qualcuno che raggiungeva l'età giusta per raggiungere i genitori a lavoro ed abbandonare definitivamente i giochi e le birbonate. Giungeva, però, anche il momento per alcuni bimbetti di prender parte ad un rito che si faceva fra alcuni gruppi di scalmanati, quello che veniva chiamato 'toccata e fuga'. Era qualcosa che, guardandola da esterni e con occhi adulti, era solo una bravata da ragazzetti che vogliono mostrarsi più grandi di quanto non siano.

    'Toccata e fuga' consisteva nel raggiungere una vecchia casa abbandonata, un rudere di pietra e legno marcio che si trovava nel folto di una cupa abetaia che veniva utilizzata solitamente, dai colleclini, per far legna per l'inverno. Raggiunta la casa, i ragazzini, sarebbero dovuti entrare, scendere nel seminterrato dell'abitazione, lasciare un proprio oggetto e raccoglierne un altro da riportare come prova del proprio coraggio. Quell'anno fra i partecipanti vi era anche Samien, non uno dei più svegli nella cucciolata, ed alcuni supponevano che avesse ricevuto troppe botte da piccolo ed era rimasto un po' tocco. Samien era solo timido ed introverso, troppo diverso da tutti gli altri fratelli e sorelle per non suscitare dicerie in paese, venendo additato come 'quello strano'. E per togliersi di dosso la pessima nomea aveva deciso che anche lui avrebbe preso parte alla 'toccata e fuga'.

    Stringeva la candela fra le mani con tale veemenza da tremare, la testa incassata fra le spalle ed i grandi occhi castani che fissavano atterriti gli altri bambini andare e venire, aspettando che giungesse il suo turno. Ed ogni volta pregava che succedesse qualcosa e rimandasse quel supplizio. 'Fa che piova... fa che arrivi papà... fa che diventi sera presto... fa che qualcuno ci faccia scappare...' erano i pensieri che si susseguivano uno dopo l'altro, ad ogni piccola testa che usciva dalla casa.

    "Tocca a te, Samien"

    La voce di uno dei ragazzetti lo fece trasalire, tanto che la candela gli cadde di mano, scatenando risatine e commenti fra gli altri bambini. Quando si fu rialzato e la candela accesa si concesse di domandarsi se non stesse facendo la scelta sbagliata, ma prima che potesse aprir bocca per dire qualcosa era stato spinto dentro l'abitazione, la vecchia porta malandata chiusagli alle spalle. Battè le mani sul legno e gridò di farlo uscire, le schegge marce che andavano a ferirgli la pelle dei palmi e delle dita.

    "Uscirai quando avrai recuperato qualcosa" gli avevano detto gli altri da fuori. Nessuno gli avrebbe aperto, nessuno si sarebbe preso la briga di farlo uscire dal di lì. Solo lui poteva.

    Il ragazzetto prese, allora, un profondo respiro, cercando di calmare la paura e si volse a guardare l'interno dell'abitazione: l'oscurità attendeva silenziosa acquattata in ogni angolo in cui la luce, che filtrava dal tetto e le finestre distrutte, non riusciva a raggiungere. Il pulviscolo che si muoveva a mezz'aria giocava con la sua visione periferica, mostrandogli lunghe mani scarne pronte a graffiargli le guance o volti smunti che sembravano volergli bisbigliare chissà quali infernali segreti, ma quando si girava a guardare scorgeva solo volute di polvere. Non c'era niente, solo paura e null'altro. Ma ne era davvero sicuro? Di voci su quella casa ne aveva sentite tante e la peggiore era quella di un buco, una cavità nera nel terreno nella parte più profonda della cantina, che si diceva potesse guardarti, che qualcosa da lì dentro potesse vederti. Sapeva cosa facevi, sapeva che stavi rubando. Chi o cosa si nascondesse in quel foro non lo si sapeva.

    Samien mosse un passo con circospezione: al primo suono o movimento spiacevole sarebbe corso alla finestra più vicina per uscirne, non gli importava di farsi male. Preferiva di gran lunga le pesanti mani del padre alla possibilità di una maledizione. Ma contro ogni previsione non successe nulla di quanto si era immaginato, arrivando tranquillamente all'imboccatura che portava al seminterrato. La vecchia botola era stata divelta, lasciando un buco quadrato nel pavimento con pochi gradini illuminati che svanivano nel buio. Si era aspettato di trovarci ragni e millepiedi, fetore di decomposizione ed ossa umane sparse ovunque, ma in verità non vi era nulla se non la pace di una casa abbandonata da tanto tanto tempo, così come per la cantina, di forma rettangolare e molto piccola se comparata a quella nella sua immaginazione. Un po' ovunque erano abbandonati oggetti di ogni tipo, alcuni molto vecchi ed altri più recenti.

    "Beh? Tutto qui?" mormorò spavaldo, mentre lasciava il proprio tesoro- un piccolo cavallo di legno- per cercare poi qualcosa da riportarsi, fin quando non scorse qualcosa sul fondo della piccola sala ed allora le tornò alla mente le parole di qualcuno degli altri ragazzini che erano fuori con lui. C'era chi ipotizzava che vi abitasse un'anziana donna che aveva adottato una lontana parente, una bambina, e che la tenesse segregata nella cantina. La piccola aveva fatto allora un patto con un demone per fuggire di lì, ma che l'ingenuità della giovane l'avesse portata ad un grosso sbaglio nel formulare il suo desiderio: era stata risucchiata dentro il pavimento stesso della cantina, triturata e spezzata per passare attraverso il buco del pavimento ed esser costretta in eterno a fissare chiunque passasse, senza poter proferir parola, soffrendo della sua condizione di anima in pena. Stava iniziando a pensare che fosse vero, in quanto nel cono di luce della candela riusciva a vedere il bordo di quello che poteva essere solamente un buco. Una morbosa curiosità lo spinse a fissare dentro la macchia nera senza riuscire a scorger nulla, ma Samien era sicuro che qualcuno dall'altra parte lo stava fissarlo. Un'orbita vuota senza palpebre che penetrava nel profondo della sua anima e sembrava cantare una nenia a voce bassissima, tanto più che pareva più una vibrazione che non una canzone.

    "Chi-chi c'è?" chiese con voce tremante.

    "Io" gli rispose il buio, guardandolo negli occhi.

    ***

    Duinn mo ghuth

    Tre parole che venivano ripetute in un grido straziante dalla bambina mentre il fuoco le lambiva i piedi, arrampicandosi sul piccolo corpo legato al palo improvvisato. Scricchiolava la legna secca sotto di lei, soffocandola con il fumo del grasso che le impregnava i vestiti, gli occhi di adulti e bambini su di lei ardevano di vendetta come il fuoco che le bolliva il sangue e gli organi, spaccandole la pelle in bolle giallastre ed accartocciandole le ali come carta.

    Poco prima di spirare le ultime parole della piccola Elari furono gorgogliate a stento, poche sillabe che però nessuno riuscì a comprendere: Stuir sinn, ar righinn og.

    Mabel era il nome della bimba. Ed era ciò che aveva chiamato Samien nel buio dello scantinato durante il rito. Il ragazzetto se ne era subito innamorato, di un'amore infantile e puro, tanto che l'aveva tirata fuori dalla catapecchia e poi nascosta nel fienile dietro casa, di modo che gli adulti non la trovassero. Il giovane Sam sapeva quanto le genti di Colleclino non vedessero di buon occhio gli stranieri, soprattutto Elari e Galzani. Aveva sentito parlare alcune comari di come nel villaggio vicino ci fosse stata un'improvvisa moria di bestie, del fatto che si sospettasse che qualcuno avesse maledetto il bestiame e costretto così gli abitanti ad indebitarsi per sopravvivere all'inverno incombente. Samien, però, non riusciva a credere che qualcuno come Mabel potesse fare una cosa del genere, così gracile ed indifesa. Doveva per forza esserci dietro una spiegazione migliore del semplice vociferare di bande di Galzani affamati o Elari che reclamavano la terra attraverso spietate maledizioni; soprattutto non voleva che Mabel ci andasse di mezzo. Eppure nelle settimane successive, Samien, iniziò a rivedere la propria linea di pensiero: alcune galline erano inspiegabilmente scomparse, troppe poche per non dare la colpa ad una volpe od una faina, ma per il ragazzetto il tarlo del dubbio aveva iniziato a rodere a fondo. Che fosse stata effettivamente Mabel a mandare in rovina il villaggio accanto? Il suo aspetto nascondeva forse altro?

    Non poteva non pensarci e, quando lo chiese a Mabel, questa gli rispose ancora una volta con alcune frasi nella sua lingua natia: 'Duinn mo ghuth' e 'Naoidhean bhig'. Qualsiasi cosa volessero dire, Sam, pensò che non potevano certo significare nulla di male e che doveva credere in lei. Ci provò, veramente tanto, fino a quando gli animali morti e scomparsi non divennero pecore e poi vacche, quando il vino divenne aceto nelle botti ed un bambino non sparì.

    Il florido villaggio di Colleclino d'improvviso si ritrovò a creare ronde, a nascondere i figli in casa appena calava il sole ed a sbarrare porte e finestre, rendendo la cittadina una spettrale immagine di ciò che era stata una volta. E Samien, a sua volta, prese a divenire più ombroso e schivo, colpevolizzandosi di ciò che stava avvenendo al villaggio e credendo che Mabel, alla fin fine, fosse la causa di tutto. Fino ad una sera in cui decise che non sarebbe più rimasto a guardare: informati i genitori di quello che aveva fatto, del ritrovamento della bambina e di come fossero iniziati i problemi dal momento in cui l'aveva nascosta. Disse loro dove trovarla e rimase a fissare i genitori che, armati di correggiati e torce, andavano a stanare l'Elari da dentro il fienile.

    Un sospiro andò a formarsi sulle labbra del ragazzino, dispiaciuto dell'incresciosa situazione, poco prima di venir trascinato oltre l'angolo della casa, il braccio stretto nella morsa di piccole dita. Samien si ritrovò a fissare il proprio viso riflesso nei grandi occhi traslucenti di Mabel, ferma davanti a lui e con l'espressione risoluta di chi non ha voglia di morire. Provò a dirgli qualcosa, a formulare un pensiero coerente nella lingua di Samien, ma a parte un 'salvare' non riuscì a farsi comprendere.

    "Cosa vuoi dirmi? Cosa vuoi da me?" chiese più volte il ragazzetto provando a liberarsi dalla stretta dell'Elari.

    "Salvare... salvare... salvare..." ripeteva di rimando Mabel. Non servirono a nulla le parole della bambina e non chetarono l'altro, anzi ebbero l'unico effetto di attirare i genitori di Samien.

    Con uno stridio furente l'Elari balzò verso il bosco, trascinandosi appresso lo sgomento Samien. Fu una corsa a perdifiato, piedi che smuovevano il sottobosco e calpestavano il suono di cuori veloci e terrorizzati, con Mabel si muoveva lesta e precisa, scansando quello che il piccolo umano non riusciva invece a scorgere nell'oscurità. Sam non riusciva a capire dove lo stesse conducendo o chi volesse salvare l'Elari, sempre più convinto che lei desiderasse solo sottrarre sé stessa alla morte.

    I frenetici pensieri s'interruppero nello stesso momento in cui Mabel rallentò la corsa, fino a fermarsi.

    "Cosa...cosa stiamo facendo?" le chiese con voce strozzata il bambino, mentre si guardava attorno terrorizzato. Fu però subito azzittito dall'Elari. La scorse nella penombra posarsi prima un dito sulle labbra e poi sull'orecchio, per poi trascinarlo a terra, accucciato tra il fogliame. Samien rimase cheto e tese le orecchie: dapprima riuscì solo a sentire il vento tra le fronde dei sempreverde, il fischio di qualche uccello notturno e lontanissime le voci del villaggio; ma poco a poco nello stormire degli alberi, come uno scricchiolio di legno ed il tramestio di zoccoli, percepì una nenia. Aveva il sapore di qualcosa di antico, amaro e dimenticato come un ricordo doloroso, sapeva di cenere e disperazione. La pelle si ricoprì di un freddo velo di sudore, mentre i denti presero a battere in un basso tramestio e la mente perdersi man mano che il suono diveniva sempre più forte.

    Quando giunsero gli uomini del villaggio trovarono Mabel accovacciata a terra, le mani premute sulle orecchie, ricoperta del sangue e di ciò che rimaneva di Samien. Al posto del bambino, infatti, vi era solamente una massa informe di carne ed interiora. Dagli occhi e dalla bocca fuoriuscivano steli rossi e carnosi, simili a grosse vene pulsanti, ricoperti di disgustosi e viscidi fiori e spine; le orrende piante fiorivano persino dal petto del ragazzino, squarciato, le costole messe a nudo come un macabro nido stillante sangue.

    Ci fu chi, a quella vista, riversò il contenuto delle sue budella sul terreno, chi addirittura ebbe un mancamento. I più coraggiosi e meno impressionabili, invece, ebbero l'ardire di afferrare con rabbia la bambina. Nel momento stesso in cui le mani dei villici si chiusero su di lei, Mabel gridò poche parole:

    "Mise ri d′ thaobh, O mhaighdean bhan"

    Il vento smise di soffiare e l'intera foresta divenne improvvisamente silenziosa. L'immobilità ed il silenzio divennero quasi dolorosi, preambolo a qualcosa di più spaventoso della vista del bambino massacrato, ma gli uomini di Colleclino, divenuti sordi per il furore, non se ne accorsero. Il silenzio della foresta li seguì fin dentro il villaggio, avvolgendosi attorno ai cuori delle persone, strisciando sulle corde legate attorno alla bambina Elari. La quiete divenne voce quando le fiamme consumarono Mabel e la sua ultima preghiera, cantando con il rogo e l'improvviso sbattere d'ali.

    Quando giunse il sole, il mattino dopo, ad illuminare Atlas, di Colleclino era rimasto poco: la città era divenuta un cumulo di cenere e braci fumanti. E fra la polvere fiorivano carnosi fiori di sangue, nutrendosi di uomini, donne e bambini, formando un cerchio attorno a quello che rimaneva di un corpo carbonizzato legato ad un rogo.

    La luce chiara dell'astro carezzò le fattezze irriconoscibili della piccola Mabel e di un unico spettatore di quel massacro. Rimaneva in piedi tranquillo, le membra rilassate tra i fiori di sangue, quasi non si accorgesse di ciò che aveva attorno. Il silenzio venne d'improvviso rotto dal frullio di ali, dai corvi che si mossero sugli alberi, le case e le staccionate, ed a quel suono s'aggiunse una canzone, una nenia che aveva qualcosa di arcaico. Ed insieme ad esse tornò il vento, i rumori della foresta e lo stormire delle fronde degli alberi, che si fusero con le parole e la melodia.

    alabigia1
    alabigia2



    A naoidhean bhig, duinn mo ghuth
    Mise ri d′ thaobh, O mhaighdean bhan
    Mhaighdean uashaill bhan, stuir sinn

    -

    Piccola bambina, ascolta la mia voce
    Sono accanto a te, splendida fanciulla
    Nobile signora, guidaci







    Edited by Deer Fren - 16/11/2021, 18:38
     
    .
0 replies since 1/11/2021, 19:33   67 views
  Share  
.
Top