oblivio; il seme di ogni male

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    Maledetto è il terreno dove le anime morte vivono con corpi nuovi e bizzarri,
    e malvagia è la mente che non è contenuta in nessuna testa.

    A. ALHAZRED


    Non ho mai desiderato vedere la fine e invece adesso che la sento prossima, come un naufrago si prostra davanti all'oceano calmo che lo ha graziato, piego le mie ginocchia per abbeverarmi a questo ingrato calice. Ho tenuto fra le mani quel libro orribile, ne ho decifrato l'alfabeto segreto. Le sue illustrazioni oscene e terribili erano piante con parti umane che perdevano sangue piangendo e urlando.
    Io non sono più io, altro è dentro di me e anche se si muove con il corpo e parla con la mia voce, io so di non essere me. Qualcuno o qualcosa veste la mia pelle; sono maledetto, è maledetta la mia casa, perché "maledetto è il terreno dove le anime morte vivono con corpi nuovi e bizzarri, e malvagia è la mente che non è contenuta in nessuna testa".
    La corruzione di quelle pagine è entrata in me, si è annidata e prolifera - anche se per raggiungermi ha dovuto fare uno strano percorso - una strada che ha richiesto molti anni e molti sacrifici. Quel libro è passato attraverso molte mani prima di conoscere le mie, e tutte sono rimaste macchiate dall'orrore. Non abbiamo conosciuto salvezza, né io né l'uomo che me lo affidò. Si chiamava Capricorno.


    Che Capricorno fosse un imbroglione era cosa nota a tutti. Ciò che forse non tutti sapevano era che in gioventù era stato molte cose oltre che un fanfarone da taverna buono unicamente a scroccare da bere e raccontare storie assurde.
    Aveva iniziato giovanissimo a lavorare nei campi del padre, che possedeva dieci salme di buona terra a sud del Moraive. Poi era venuta la guerra, il regno l'aveva mandato a chiamare e come molti altri giovani della regione era partito per entrare nell'esercito. Capricorno, che non moriva dalla voglia di andare a combattere al nord, se ne scappò in montagna. Rimase lì, nascosto, per un anno intero. Per sopravvivere, si era unito a una piccola banda di briganti che fermavano solo i signori e non avevano mai accoppato nessuno. Quella storia andò avanti per un pezzo, finché non assalirono una carrozza che trasportava non ricchezze o vettovaglie ma sei armigeri della scorta reale.
    Capricorno venne catturato insieme ai compagni. Erano tutti giovani e disertori, e in tempi normali li avrebbero passati per le armi, ma le guerre non creano tempi normali e così vennero armati e spediti fra le montagne. Capricorno conobbe il nord, quello vero, così diverso dai più miti inverni del Moraive. Il Tovis era l'inverno della neve che non si scioglieva mai e dei laghi di ghiaccio e delle aurore boreali.

    Quando finì la guerra, Capricorno venne congedato. Riuscì a tornare al villaggio, ma solo per scoprire che suo padre si era dovuto vendere le terre per fare fronte agli anni cattivi e alla mancanza di manodopera. Era rimasta solo una salma di terra intorno a un casolare. Poi era venuta l’epidemia e si era portata via la sua famiglia. Capricorno si diede da fare per vendere quel poco che gli restava e con il ricavato riuscì a comprare una casetta alla caletta dei pescatori in un villaggio sul mare poco distante, e una piccola barca da pesca.
    Di pesca, Capricorno non sapeva quasi nulla, ma aveva un gran cervello e la capacità di imparare rapidamente. Si mise a lavorare con alcuni pescatori che avevano perduto le loro barche durante la guerra e gli affari andavano abbastanza bene perché tutti potessero avere di che mangiare per loro e le loro famiglie. Poi, uno dei pescatori, il più anziano, morì per una febbre curata male. Un altro cadde in mare durante una tempesta e non tornò più a galla. Un terzo, qualche anno dopo, decise di ritirarsi.
    Capricorno aveva allora trentaquattro anni, non aveva nessuno e aveva imparato quanto bastava perché potesse continuare a far da solo.
    La sua vita continuò a trascorrere in una relativa tranquillità: i guadagni erano discreti e lui non aveva una famiglia a cui provvedere. Andò in questo modo per qualche anno, finché una tempesta improvvisa, arrivata di notte, raccolse il suo piccolo peschereccio tirato in secca e lo trascinò contro gli scogli
    Capricorno, alzandosi il mattino del giorno dopo, non trovò altro che pezzi di legno a mollo nell’acqua.
    Il giorno stesso, decise di recarsi nel villaggio vicino per trattare l’acquisto di una nuova barca da pesca. Quando tornò, vide da lontano una colonna di fumo alzarsi dalla caletta dei pescatori. Senza pensarci, iniziò a correre verso la spiaggia. Come per un presentimento, sapeva già cosa avrebbe visto. La sua casetta, insieme con tutte le sue cose, stava bruciando come uno zolfanello. Non rimase più nulla, solo un cumulo di cenere. Dissero che si era trattato di un incidente, che probabilmente aveva lasciato una torcia accesa sul tavolo. Capricorno non gli credette, ma non fece storie.
    Due giorni dopo, gli portarono la sua barca nuova. Lui la lasciò sulla spiaggia e iniziò a viverci dentro. Di tanto in tanto, verso sera, spingeva la piccola barca fino al mare e pescava per qualche ora, ma non andava più al mercato a vendere il pesce. Pescava per sé, e per far passare il tempo. La sua dieta era composta quasi esclusivamente di pesce e vino. Qualcuno dei suoi vecchi conoscenti ogni tanto andava a trovarlo, gli diceva che tutto sommato gli era andata bene, che aveva ancora qualche soldo da parte, che poteva ricominciare. Capricorno però era cambiato: il volto si era fatto più pallido e emaciato, due occhiaie profonde e violacee gli scavavano il viso, aveva smesso di curarsi e barba e capelli erano lunghi e crespi. Soprattutto, andava sempre ripetendo che tutte quelle sfortune non erano un caso, che era stato maledetto.

    La sera, dopo il tramonto, aveva preso l’abitudine di sedersi sulla spiaggia, a qualche decina di metri dalla sua barca, davanti a un piccolo falò improvvisato. Se ne stava lì a rimestare il fuoco con un ramo e a guardare le fiamme fino al mattino.
    In una di quelle sere gli capitò di vedere un giovanotto tutto vestito di bianco camminare lungo la battigia. I due si limitarono a guardarsi senza dirsi nulla. Era circa mezzanotte.
    La stessa scena si ripeté allo stesso identico modo per le due sere seguenti, alla medesima ora.
    La quarta sera, sempre intorno alla mezzanotte, il giovanotto vestito di bianco passò di lì. Si guardarono, come ogni sera, e fu lì che il giovanotto scantonò dal copione, sollevando la mano in un gesto di saluto. Capricorno rispose agitando per aria il ramo che utilizzava per rimestare le braci.
    Ripeterono questo nuovo rituale per altre due volte.

    All’ottavo giorno, il giovanotto nuovamente scantonò. Dopo aver sollevato il braccio, cambiò direzione e risalì la spiaggia. Arrivato davanti al falò, si sedette a gambe incrociate ma non spiccicò parola. Dopo qualche minuto si alzò e andò via, chiuso nello stesso silenzio tetro in cui era arrivato.
    Lo stesso fece la sera dopo, e quella dopo ancora.

    L’undicesimo giorno, dopo essersi seduto e aver guardato il falò per qualche minuto, il giovane finalmente parlò.

    – Buonasera, – disse asciutto.
    Come si potesse considerarla una cosa normale, Capricorno non avrebbe saputo dirlo.
    – Mi chiedevo quando ti saresti deciso, – disse invece.
    Rimasero seduti per qualche minuto, nell’assoluto silenzio, a guardare la sciocca danza delle fiamme.
    – I tuoi abiti sono del nord, – disse Capricorno. – Come ti chiami, ragazzo?
    L’altro non rispose, chiuso in un silenzio ostinato si limitava a fissare la sabbia.
    – Visto che non vuoi dirmelo, ti chiamerò Quartodiluna, – disse ancora Capricorno, ridacchiando.
    Il ragazzo sollevò il capo. In effetti, sopra di loro c’era un primo quarto di luna piuttosto luminoso.
    Dopo qualche altro istante di silenzio, il ragazzo parlò:
    – Lo fate tutte le notti?
    – Cosa?
    – Accendere un fuoco e rimanere sulla spiaggia fino all’alba. Lo fate tutte le notti?
    – Sì.
    – Perché?
    Capricorno fece spallucce, agguantando la bottiglia di vino che portava sempre con sé.
    – Perché non ho nient’altro da fare. Non ho famiglia, né una casa. Ci siamo solo io, quella barca là in fondo, e questa, – concluse, mostrandogli la bottiglia. Cavò il turacciolo con i denti e bevve.
    – E cosa fate, qui, tutta la notte?
    – Non lo vedi? Bevo. E aspetto.
    – Aspettate.
    – Aspetto.
    – Cosa?
    Capricorno parve volerci pensare su per qualche momento, prima di rispondere.
    – Ho avuto una vita strana, – sospirò. – Tu sei del nord, vero?
    Il ragazzo annuì.
    – Di dove?
    – Biancacorona.
    Capricorno sorrise.
    – Ho servito con l’esercito, da quelle parti. Non credevo ci avreste impiegato tanto.
    Di nuovo, il ragazzo annuì.
    – Quindi sapevi che saremmo venuti, – disse il ragazzo, dandogli improvvisamente del tu.
    – Sì.
    – E sei rimasto ad aspettarci.
    Capricorno allargò le braccia e sorrise.
    – Sei uno strano uomo, Capricorno.
    – Non più strano degli altri.
    Fu il turno del ragazzo di sospirare. Si passò una mano sul torace e quando la sollevò stringeva fra le dita l'elsa di una corta daga. La tenne in mano per un tempo che parve infinito, osservandola come se non riuscisse a capacitarsi di come fosse finita lì. La posò sulla sabbia di fronte a sé.
    – Adesso, raccontami come è andata - disse.
    Capricorno cominciò a raccontare. E più parlava e più beveva.
    E più beveva, più gli si scioglieva la lingua.

    Era accaduto durante il suo terzo anno al fronte.
    Lui e altri tre dello stesso battaglione erano stati mandati in ricognizione, a est di Biancacorona. Erano quattro abituati a muoversi in montagna, quindi avevano esaurito i loro compiti nel giro di un paio di giorni. Sulla via del ritorno si erano fatti sorprendere da una tempesta di neve. Si trovavano troppo distanti dal campo per tentare di raggiungerlo in giornata, si erano quindi accontentati di trovare rifugio in una caverna sul versante ovest della montagna dei Trepicchi. Quello fu il loro primo, madornale errore.
    Verso sera, quando si erano ormai acclimatati e stavano per dividere quel po’ di cibo che era rimasto loro, dal fondo della caverna sentirono venire un rumore come di passi strascicati, seguito da riverberi rossastri sulla parete, simili a quelli di una fiaccola. Tutti scattarono all’erta, pronti a sopraffare l’incauto visitatore. Ciò che videro, però, li lasciò senza parole. Era un uomo, o almeno lo sembrava - in tutto, meno che nel viso. Un ovale perfettamente levigato, privo di connotati. Un uomo senza volto.
    I quattro rimasero impalati, troppo sconvolti dalla visione per dargli addosso. La creatura non parlò, e d’altra parte non avrebbe potuto, priva di bocca com’era, ma con dei gesti, lenti e misurati, riuscì a farsi intendere. Li invitò a seguirlo. Capricorno fu il primo ad alzarsi e andare, e subito dietro di lui vennero gli altri.
    Al lume della fiaccola camminarono per qualche minuto, fino a raggiungere un macigno che ostruiva il passaggio. La creatura senza volto si avvicinò alla roccia e, con una sola mano, la spostò senza alcuno sforzo, rivelando una piccola fenditura da cui un adulto sarebbe potuto passare solo mettendosi di lato. Così fecero, il Senza-volto davanti e Capricorno e i suoi compagni al seguito.
    Si ritrovarono in una grotta più grande della precedente, tanto che non si riusciva a vederne il soffitto. Al centro della spelonca ardeva un piccolo fuoco da campo. Lungo tutto il perimetro, addossati alle pareti, c’erano sacchi di tela ammassati. Il Senza-volto si avvicinò ad uno di questi e lo raccolse. Nel farlo, un altro sacco cadde a terra, aprendosi quel tanto che bastava da far ruzzolare fuori un paio di tintinnanti monete d’oro.
    Il Senza-volto non sembrò farvi caso. Si avvicinò ai quattro e porse loro il sacco. Lo aprirono, scoprendo con gioia che al suo interno erano contenuti formaggi, carne essiccata, e un fiasco di vino. Mangiarono e bevvero, rimanendo di ottimo umore per tutta la sera. Il Senza-volto non toccò nulla, rimase seduto in fondo alla grotta e non si mosse. Di tanto in tanto Capricorno si voltava a guardarlo, ma non lo vide mai muovere un muscolo.
    Verso mezzanotte, il Senza-volto si alzò e fece loro capire che sarebbero potuti rimanere lì per la notte, quindi tornò al suo angolo, si sdraiò a terra, voltò loro le spalle e parve cadere in un sonno profondo.
    Capricorno, che aveva bevuto parecchio, lo imitò poco dopo, mentre gli altri tre iniziarono a confabulare fra loro.

    Lo svegliarono in piena notte. Il più giovane dei suoi compagni lo aveva scosso. Capricorno avrebbe voluto dirgli di lasciarlo dormire in pace, ma ciò che vide gli fece rapidamente cambiare parere. Quei tre disgraziati avevano trafitto nel sonno il loro benefattore e ora stavano arraffando il più possibile rovistando fra i sacchi. Monete d’oro e d’argento, cibo, piccoli monili. Capricorno imprecò contro i compagni e corse a soccorrere il Senza-volto. Fatica sprecata. Era morto nel momento stesso in cui era stato pugnalato, tanto che era difficile dire se a ucciderlo fosse stato il tradimento o l'ottimo acciaio del nord.
    Capricorno inveì ancora e ancora. Litigarono, lui e i suoi compagni, quasi arrivarono alle mani. Alla fine, non volendo rimanere in quel luogo un minuto di più, uscì dalla spelonca, riattraversò la fenditura, e tornò alla grotta più piccola. Poco prima dell’alba partì, senza aspettare quelle avide carogne che non avevano esitato un istante a tramutarsi in assassini.

    – Non li rividi mai più, – disse Capricorno, terminando il racconto. – Chiesi di cambiare battaglione. In capo a sei mesi fui congedato. Il più giovane di quei tre morì pochi giorni dopo il fatto, mi dissero. Cadendo in un fosso, ci crederesti? Quello era abituato a scalare le montagne tanto quanto lo è una capra. Credo che anche gli altri non abbiano fatto una bella fine.
    – In effetti, no, – disse il ragazzo, sorridendo. – Quindi tu non hai partecipato all’assassinio.
    – No.
    – E nemmeno hai toccato il tesoro.
    – No, mai.
    – E ti senti comunque in colpa. Perché?
    Capricorno posò la bottiglia e guardò sconsolato le ultime fiammelle.
    – Avevo bevuto troppo, quella sera. Se mi fossi controllato, forse non sarei caduto in un sonno tanto profondo. Sarei riuscito a fermarli.
    – Capisco.
    Il giovane raccolse la daga dalla sabbia e si rimise in piedi con movimenti lenti, quasi stanchi.
    – Vedi, Capricorno, – disse, una volta in posizione eretta, – io sono venuto qui per ucciderti, ma non serve.
    Capricorno sollevò lo sguardo, incredulo.
    – Ti ho aspettato per tutto questo tempo…
    – Non sapevi nemmeno cosa stessi aspettando! – lo redarguì Quartodiluna. – Il tuo senso di colpa è una pena di gran lunga peggiore di quella che ero venuto a impartirti, vecchio.
    E fece per andarsene.
    – Aspetta! – lo richiamò Capricorno. – Quella… Cos’era - chi era quella creatura?
    Quartodiluna si fermò.
    – Era un dio. Un dio senza volto e senza fedeli, stanco e debole. Vegliava le nostre montagne, il valico, e dava soccorso ai viaggiatori. I tuoi compagni non hanno trafugato un tesoro, hanno profanato una tomba. Quelli erano i resti di tutti i viandanti che il Dio senza volto non era riuscito a soccorrere. Hanno profanato una tomba e da miserabili tombaroli sono morti.
    – Un dio… abbiamo ucciso un dio.
    – Loro hanno ucciso un dio, – disse Quartodiluna. – Tu non sei riuscito a salvarlo.
    E se ne andò, lasciando Capricorno solo, disperato, con davanti a sé soltanto una bottiglia vuota e un fuoco ormai spento.

    Incontrai Capricorno molto tempo dopo, fuori da una vecchia taverna vicino alle paludi. Nonostante fossero trascorsi tanti anni mi riconobbe subito. Fui io, invece, che faticai a riconoscerlo. Il suo volto era ancora più scavato e tetro, privo di colore così come i suoi occhi. Mi disse che avevo sbagliato, quella volta sulla spiaggia, a non ucciderlo - e mi pregò di seguirlo nella sua casa. Diceva di avere qualcosa per me.
    Quella che lui chiamava casa era in realtà il rudere abbandonato di una palafitta, sporca e umida. Lì, con aria febbrile, Capricorno e si accasciò su un giaciglio fatto di vecchi stracci e mi chiese di rovistare dietro un ammasso di botti ormai vuote e anticaglie. Lo feci, e in quel lerciume non mi fu difficile trovare un fagotto di tenuto insieme da una corda. Scioltala, mi ritrovai fra le mani un libro sudicio, di cui non si riusciva a indovinare il titolo. L'unica cosa che potevo vedere era uno strano simbolo giallo sul frontespizio. Mi voltai per chiedere a Capricorno di cosa si trattasse, ma con orrore riconobbi che ciò che avevo di fronte non era più l'uomo a cui avevo risparmiato la vita tanti anni prima.
    Era un'ombra deforme i cui tentacoli scuri di bruma si spingevano in ogni angolo della stanza, artigliando il vuoto. Mi fissò con due occhi enormi occhi gialli che si aprivano su un volto mancante, una cavità nera d'incubo.
    Mi parlò - e la sua voce era composta di tante voci diversi che cadevano in diversi rintocchi, abietta come la figura da cui proveniva.
    «Io sono la Paura, l'orrore senza volto e l'incubo. Il mio nome non è conosciuto e la mia casa è ovunque, in ogni luogo e in ogni cuore. Questo corpo è stato mio per molti anni, e lo è stato grazie a te. Prendi il mio libro, ricorda questo momento e il terrore che provi. Ricorda il mio nome, e io tornerò ancora.»
    Allora gli occhi si chiusero e il corpo tremando tornò quello di un povero vecchio morente.
    Capricorno mi guardò senza vedermi allora e tese la mano verso di me. Non riuscii a stringerla, ancora inorridito.
    Mi disse che quel libro se l'era ritrovato fra le mani vent'anni prima, ma che l'aveva già visto una volta - in quella tomba che i suoi compagni avevano saccheggiato. Non aveva idea di come avesse fatto, ma era tornato da lui, dopo tutto quel tempo, trasformandolo nel simulacro di ciò che non aveva potuto salvare. Così avevano trasformato, col loro tradimento, un dio caritatevole in un orrendo vendicatore.
    «Avresti dovuto uccidermi quella notte» disse di nuovo. «E forse mi avresti risparmiato un orrore anche peggiore, perché ricorda...»


    Maledetto è il terreno dove le anime morte vivono con corpi nuovi e bizzarri,
    e malvagia è la mente che non è contenuta in nessuna testa.


    Specifica (non so quanto necessaria): il nominato "Senza-volto" ovviamente non è realmente una divinità di Atlas; potremmo assimilarlo a una sorta di demone.


    Edited by Apocryphe - 26/10/2021, 23:04
     
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